Che il settore Giustizia, in Italia, necessiti di una generale riforma è a tutti chiaro, ormai da tempo. Il sistema processuale, sia civile che penale, soffre di grandi interrogativi nella teoria che, inevitabilmente, si ripercuotono sulla pratica in maniera evidente. E questo, ricordiamolo, non intacca solo l’amministrazione della Giustizia di per sé considerata, ma la vita di ognuno di noi. Un sistema improntato su una tradizione che ormai sembra essere sconosciuta alla modernità tecnologica dei nostri tempi, una durata dei processi che è tutt’altro che “ragionevole”, sono due dei temi che risultano stare alla base della nuova Riforma Cartabia. Questa infatti, si ripropone, attraverso modifiche processuali e sostanziali, strutturali ed organizzative, di implementare i caratteri dell’efficienza e della stabilità.
È il 23 settembre scorso quando il Senato approva il disegno di legge per la riforma del processo penale, il 3 ottobre successivo la – ormai – legge viene pubblicata in Gazzetta Ufficiale. La Riforma Cartabia fa parte di una serie di progetti di cui si fa carico il Governo in attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNNR), nel più grande ambito dei fondi stanziati dal Next Generation EU.
Che cosa prevede la riforma?
La buona riuscita della riforma della Giustizia ruota intorno allo strumento della delega, con la quale il Parlamento affida al Governo il potere di attuare e quindi, individuare, i principi e criteri generali per garantire una migliore efficienza del sistema giurisdizionale. Il provvedimento, infatti, contiene criteri direttivi cui dovranno attenersi i decreti legislativi che dovranno essere emanati in un anno dall’entrata in vigore della legge.
In particolare, la riforma si compone di due articoli: un primo con il quale il Parlamento delega il Governo, un secondo con il quale si attuano modifiche dirette al codice penale e a quello di procedura penale.
Il meccanismo di improcedibilità.
Le materie oggetto di delega sono tante, ma il punto intorno al quale si è acceso un forte dibattito politico è senz’altro quello del meccanismo di improcedibilità, e quindi della tanto controversa prescrizione. Così come da Ministero della Giustizia, “le misure contenute nell’Atto Senato n. 2067 mirano principalmente a semplificare e rendere spedita la celebrazione dei processi penali, dando attuazione al principio della ragionevole durata del processo”. Non è infatti sconosciuto il grande problema della lentezza dei procedimenti nella giustizia penale; motivo per il quale l’Italia conta ben 1202 richiami da parte della Corte di Strasburgo per violazione del principio di ragionevole durata del processo. Secondo una stima il processo penale durerebbe in media 4 anni.
È, quindi, in nome di esigenze di economia processuale che la Riforma Cartabia introduce il cd. meccanismo di improcedibilità prevedendosi una durata massima per ogni grado di giudizio: 2 anni per l’appello, 1 anno per la Cassazione. Questo sistema conosce tuttavia delle eccezioni. Una prima generale è a discrezione del giudice che può prorogare il termine per l’appello di 1 anno, e ulteriori 6 mesi per la Cassazione. Ancora, per alcuni processi particolarmente gravi, come quelli per mafia, terrorismo, violenze sessuali è concessa la proroga all’infinito. Per ultimo, sono sottratti al meccanismo della prescrizione i procedimenti di reati puniti con l’ergastolo. L’obiettivo è, in ogni caso, quello di ridurre il 25% del contenzioso penale. Lungo tale direzione, la riforma introduce vari criteri decisori volti a smaltire il contenzioso. Il primo fra tutti è la possibilità di instaurare il processo solo nei casi in cui sia ragionevole una previsione di condanna.
Sebbene il cuore della riforma sia quello appena descritto, vi sono ulteriori materie su cui questa interviene che meritano di essere richiamate. Se è vero che il processo penale necessita di una maggiore efficienza, la riforma non può prescindere dalla sua digitalizzazione. I meccanismi tradizionali di notificazione e comunicazione, con i quali si informano i diretti interessati dello svolgimento del procedimento, lasciano il posto al deposito di atti in via telematica. Questo non risponde solo ad esigenze di adattamento al mondo odierno, ma contribuisce anche ad evitare inutili perdite di tempo. Questo il motivo per il quale, con l’entrata in vigore della legge, tutte le modalità non telematiche ormai sono eccezionali.
Ancora, una riforma generale non può guardare dall’altro lato ed ignorare il grosso problema del sovraffollamento carcerario. Analizzando le sue radici storiche, la pena carceraria è sempre stata la punizione generale e principale, rispetto a tutte le altre sanzioni sostitutive. Ecco quindi che la riforma, con una serie di criteri e direttive, implementa l’utilizzo e la maggiore adozione della pena pecuniaria, semi libertà, detenzione domiciliare e lavoro di pubblica utilità, quando possibile.
Intorno alla Riforma Cartabia si levano voci contrastanti: chi lo ritiene un intervento necessario, chi, invece, crede che sia approssimativo, non incisivo. In particolare, le posizioni del Movimento 5 Stelle e di Giuseppe Conte – già agli antipodi della presentazione del disegno di legge – erano chiare: la facoltà di attribuire al Governo ampio potere di scelta nell’esercizio dell’azione penale, viene vista come una grande ingerenza della politica nel settore giudiziario. E così come il Consiglio Nazionale della Magistratura ribadisce, vi è un vero e proprio “contrasto con l’assetto dei rapporti tra i poteri dello Stato, perché ciò rispecchierà le maggioranze politiche del momento”.
In ogni caso, è necessario avere consapevolezza dell’impossibilità di mutare a 360 gradi il sistema della giustizia italiana con un’unica riforma, a causa della sua complessità. Posto ciò, si è in attesa dei primi risultati della Riforma Cartabia ed intanto, ancora una volta, si apprezza lo sforzo.
(Featured Image Credits: La Stampa)
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Enrica Cucunato

Nata nel 1999 a Cosenza, appassionata di cronaca giudiziaria, giornalismo d’inchiesta e politica estera. Attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Giurisprudenza presso l’Alma Mater Studiorum a Bologna. Durante la sua formazione universitaria ha avuto l’opportunità di seguire corsi presso la Gazzetta di Bologna. Nel 2015 ha viaggiato negli Stati Uniti, dove ha potuto approfondire, presso la New York University, quelle che sono due delle sue passioni più grandi: la danza e l’inglese. Appassionata di libri riguardanti lo studio delle criminalità organizzate e le più grandi inchieste giudiziarie, i suoi interessi riguardano anche la lettera e il cinema. View more articles.
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