Lo sport italiano nella sua interezza chiede al governo di ripartire. Quest’ultimo, però, risponde con protocolli diversificati, quasi come a dare più importanza ad uno sport piuttosto che ad un altro. La pandemia di coronavirus ha inciso marcatamente nei già fragili equilibri del mondo sportivo italiano, ma ad oggi la situazione epidemiologica sembra essere molto più rosea delle aspettative. La campagna vaccinale portata avanti fa registrare l’81% della popolazione over-12 completamente immunizzata (www.governo.it) e a rassicurare è anche una risposta più che convincente dalla fascia giovanile, che maggiormente affolla i teatri del gioco. Le misure anti-contagio che regolano gli ambienti chiusi, così come gli spazi aperti, appaiono in linea con quel “rischio controllato” di cui il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha sempre parlato, per tutti da assumere inevitabilmente a causa dell’alta aleatorietà dei meccanismi di trasmissione.
In tale situazione appare scontata la reintroduzione di una componente fondamentale per ogni sport, ovvero i tifosi, relegati durante la gran parte delle passate stagioni ad un esilio forzato. Una platea di tifosi calorosa può cambiare il volto delle gare, riuscendo a dare una mano ai propri beniamini in campo e ciò viene confermato dalle parole degli addetti ai lavori. Il Commissario Tecnico della Nazionale italiana di calcio, Roberto Mancini, il 5 luglio scorso affermava: “Meglio giocare davanti ad uno stadio pieno piuttosto che davanti a poche persone, perché credo sia il bello del calcio come di ogni spettacolo.”, ma l’impressione è che questo sia il sentore comune alla maggior parte dei protagonisti. Come si diceva in fase di apertura, il percorso per riportare la gente negli stadi e nei palazzetti è risultato più tortuoso del previsto ed all’orizzonte la soluzione definitiva appare ancora piuttosto lontana. Ad oggi è permessa l’affluenza negli stadi all’aperto per il 75% dei posti disponibili, ai soli possessori del Green Pass e ciò permetterebbe agli sport che godono di tale caratteristica di fare un enorme passo in avanti rispetto al recente passato. Per fare una stima si prenda ad esempio il comunicato diramato dalla Juventus F.C sulla situazione economico-finanziaria relativa al primo semestre 2020-2021: nella nota si legge che le perdite dovute ai mancati ricavi da gare, vendite di prodotti, licenze ed affini, ammonta a 39 milioni di euro, cifra considerevole se affiancata alla perdita totale dell’esercizio di circa 113 milioni di euro. L’aumento delle possibilità dovute all’ultimo decreto governativo è visibile e se da una parte Giovanni Malagò, Presidente del CONI, afferma che sarebbe disposto ad interloquire con il governo per una possibile riapertura al 100% di capienza, lo stesso conferma che tale soluzione sarebbe piuttosto marginale nella maggior parte dei casi, riferendosi ad una tendenza negativa nel numero di persone che effettivamente si recano allo stadio. Questa tendenza negativa è stata solo in parte sopperita dai club dall’aumento dei ricavi dovuti ai diritti televisivi o di altre piattaforme streaming. Ma la fortuna in questo caso – come in molti altri – si ferma ai club calcistici di alto livello.
La situazione muta notevolmente se si getta lo sguardo oltre la siepe. Dopo il calcio, attenendosi al numero di atleti ufficialmente tesserati con il CONI, la pallavolo ed il basket sono gli sport più praticati nel nostro paese. Ciò che accomuna questi ultimi due è la completa dipendenza da una struttura al chiuso per lo svolgimento delle gare ed allora, in contrasto con la situazione epidemiologica, il governo ha varato una serie di restrizioni differenti per la presenza del pubblico alle partite.

Credits: FABRICE COFFRINI/AFP via Getty Images
Umberto Gandini, presidente della Lega Basket Serie A, in un’intervista alla Gazzetta dello Sport si è mostrato deluso e amareggiato del trattamento riservato: ad oggi, soltanto il 35% della capienza totale dei palazzetti può essere coperta dal pubblico, mostrando una netta controtendenza con i dati nazionali per gli sport all’aperto, ma anche con le percentuali europee degli impianti al chiuso. L’ipotesi paventata dell’aumento di tale percentuale fino al 50% è ancora osteggiata dalla figura preminente del basket italiano, visto che i dati del riempimento medio dei palazzetti in Italia è del 73%. Secondo Gandini l’accesso con Green Pass ai palazzetti garantirebbe l’estrema protezione per i tifosi, dato che anche nel caso di una copertura totale dei posti disponibili ogni individuo dovrà attenersi alle precise direttive del governo da attuare nei luoghi al chiuso, riducendo i rischi di contagio al minimo. Con un trattamento del genere, dice lo stesso Gandini, si rischia di far passare un’immagine degli impianti come dei luoghi non sicuri, minatori della salute pubblica. La data del 10 ottobre, fissata dapprima per la risoluzione di tali controversie e l’aumento della capienza nei palazzetti dal 35% al 50% è stata prorogata, dando un ulteriore segnale di contrapposizione da parte del governo, nonostante il CTS abbia ratificato che i benefici di tale aumento supererebbero di molto gli eventuali rischi.
Questa situazione, dagli strascichi inevitabili per tutte le parti in gioco, mette in luce un problema ancora evidente nel nostro paese: la cultura sportiva in Italia è pienamente viziata da quella calcistica. Lo sport non è considerato a trecentosessanta gradi come attività formativa e non incoraggiato nelle sue molteplici accezioni, ma per gran parte del paese è solamente riconducibile al calcio, con buona pace delle politiche governative. In questo caso è controproducente farne una questione economica, poiché se da una parte è lampante che gli indotti provenienti dal calcio per tutte le attività collaterali sia preminente, dall’altra non devono essere dimenticati i benefici provenienti dalla narrazione dello sport nelle sue forme più disparate, soprattutto per le nuove generazioni. Tra gli sport le cui gare si svolgono in luoghi aperti e quelli legati ad impianti al chiuso la distinzione di trattamento è netta e non può far altro che aumentare il divario di attenzione che si riserva ad una parte piuttosto che all’altra. In questo contesto una famiglia può portare i figli allo stadio con molta più facilità rispetto che in un palazzetto che ospita una gara di pallavolo, piuttosto che una competizione di ginnastica artistica, precludendone la conoscenza di un mondo che potrebbe abbracciare ed amare.
Se si spera nel cambiamento, nell’anno dei maggiori successi italiani in ogni contesa sportiva, la presa di posizione da parte degli “svantaggiati” deve essere dura, mostrando con chiarezza i pro di una narrazione ampliata degli aspetti del gioco, con il fine di educare le nuove leve alla conoscenza delle particolarità di ogni sport.
(Featured Image Credits: Arezzo Notizie)
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Camillo Cosenza

Nato a Cosenza nel 1999, è un grande appassionato di sport, economia e politica. Frequenta il Corso di Laurea triennale in Ingegneria Gestionale all’Università della Calabria. Ama anche la storia e la filosofia, passioni nate durante il periodo liceale. View more articles.
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