Il 25 luglio scorso, nel giorno del 64esimo anniversario della proclamazione della Repubblica, il Presidente tunisino Kaïs Saïed ha annunciato il congelamento dei lavori del Parlamento per 30 giorni, la revoca delle immunità ai parlamentari e la rimozione del Primo Ministro Hichem Mechichi. In molti, tra cui il Partito islamista Ennahda, parlano di colpo di Stato, mentre Saïed difende quelle che ritiene sue prerogative costituzionali. Il Paese, devastato da una grave crisi economica e attualmente alle prese con un deciso peggioramento della situazione pandemica, è spaccato tra i sostenitori di Saïed, stanchi dei fallimenti di una classe politica paralizzata, e chi, invece, teme una nuova deriva autoritaria. A dieci anni dalla “Rivoluzione dei Gelsomini”, scintilla delle cosiddette primavere arabe, lo Stato nordafricano sembrerebbe sull’orlo di nuovi, violenti, tumulti. Che il “cantiere democratico” tunisino abbia sospeso i lavori?
LE CAUSE
“Il popolo vuole lo scioglimento del Parlamento”: questo quanto si gridava in quella che è già chiamata la “giornata della rabbia”, che, simbolicamente, è caduta proprio il 25 luglio. 25 luglio che non solo commemora la nascita della Repubblica tunisina, proclamata nel 1957 dopo decenni di protettorato francese, ma anche il giorno della morte di Mohamed Beji Caid Essebsi, primo Presidente tunisino eletto tramite libere elezioni nel 2014, scomparso nel 2019. Le radici dell’attuale malcontento sono proprio da ricercare in quel 25 luglio 2019, quando la Tunisia è sprofondata in un caos politico fatto di continui cambi di governo e di una crescente conflittualità tra il Presidente della Repubblica Saïed e i vari Primi Ministri, conflittualità istituzionalizzata dalla Costituzione tunisina del 2014, modellata su un esecutivo bicefalo sulla scia del semi-presidenzialismo francese. Ad una situazione politica a dir poco caotica (sebbene molte dinamiche non possano dirsi troppo diverse da quelle di alcuni Stati democratici europei), si sono aggiunte una pandemia e lo spettro di un default finanziario.
La situazione COVID, in particolare, ha subito un netto peggioramento negli ultimi mesi, portando la Tunisia ad avere il più alto tasso di mortalità di tutto il continente africano (quasi 19.000 morti in un Paese di 12 milioni di abitanti). Oltre ad un netto aumento del numero dei contagi, che mette sotto pressione un sistema sanitario già al collasso (scarseggiano posti letto in ospedale, medicine, e, soprattutto, ossigeno) il Paese sconta il chiaro fallimento del programma COVAX, con meno del 10% della popolazione completamente vaccinata.
Ad una situazione sanitaria drammatica, mal gestita dalle forze politiche governative, ai aggiunge una situazione economica altrettanto compromessa. Un PIL in caduta libera (-8% nel 2020), una disoccupazione galoppante (quella giovanile si attesta sul 40%), un debito pubblico al 90% e la forte dipendenza dai prestiti delle IFI, e, in particolare, del Fondo Monetario Internazionale, sono chiari indicatori di instabilità finanziaria, che potrebbero portare il Paese al default.
In tutto questo, è mancata la politica. Il malcontento verso la coalizione di governo e, in particolare, verso la prima forza del Paese, il partito islamista Ennahda, già al centro di alcune indagini per corruzione e ritenuto il maggior responsabile della pessima gestione dell’economia e della pandemia, si è acuito dopo la richiesta di Ennhada – decisamente intempestiva – di 3 miliardi di dinari tunisini di risarcimento per le persecuzioni subite sotto il regime di Ben Ali.
I FATTI
Tutte queste ragioni sono alla base delle manifestazioni di piazza del 25 luglio, che hanno visto la discesa in campo di un nuovo attore sulla scena politica tunisina: il “Movimento del 25 luglio”. Sebbene non sia chiaro chi siano gli esponenti del movimento, sembrerebbe che la pubblicazione di un manifesto programmatico, con chiare richieste alla classe politica, abbia catalizzato le numerose istanze di una popolazione ormai stremata. Tra le rivendicazioni: la dissoluzione del Parlamento e le elezioni anticipate, l’attribuzione al Presidente della Repubblica di poteri di scioglimento dell’Assemblea Parlamentare, l’indipendenza del potere giudiziario, la revoca dell’immunità ai parlamentari macchiatisi di crimini non rientranti nelle loro prerogative parlamentari e la dissoluzione dei partiti che abbiano ricevuto finanziamenti illeciti. In breve, se da un lato è chiaro il tono critico verso Ennahda e i lavori della classe dirigente – identificabili anche dagli slogan “dégage” sui cartelli dei manifestanti radunatisi davanti al Parlamento nel corso delle proteste –, dall’altro si nota un deciso endorsement nei confronti del Presidente della Repubblica.
Dal canto suo, si può affermare – certamente con cautela – che Saïed abbia fatto sue le rimostranze della popolazione. Il Presidente ha infatti invocato l’art. 80 della Costituzione, che stabilisce che “in caso di pericolo imminente che minacci le istituzioni della nazione, la sicurezza o l’indipendenza del Paese e che ostacoli il normale funzionamento dell’apparato statale, il Presidente della Repubblica potrà prendere tutte le misure rese necessarie dalle circostanze eccezionali, dopo aver consultato il Capo di Governo e il Presidente dell’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo e aver informato il Presidente della Corte Costituzionale”. In più, la Costituzione prevede che le misure debbano garantire un ritorno al normale funzionamento delle istituzioni statali in tempi brevi. In particolare – e questo sarebbe in linea con il limite previsto da Saïed – dopo 30 giorni dall’entrata in vigore delle misure, il Presidente del Parlamento potrà appellarsi alla Corte Costituzionale per verificare se le circostanze possano classificarsi come ancora eccezionali.
Formalmente, Saïed avrebbe dunque rispettato i dettami costituzionali. Rimangono, tuttavia, alcuni nodi.
In primis, il testo costituzionale vieta al Presidente di sciogliere il Parlamento. La sospensione dei lavori parlamentari prevista da Saïed è dunque una misura al limite.
La Costituzione non conferisce al Presidente della Repubblica la facoltà di rimuovere il Primo Ministro e designarne uno nuovo. Saïed ha invece annunciato che nominerà presto un nuovo PM.
Infine, il punto più spinoso dell’intera questione è l’assenza di una Corte Costituzionale in Tunisia, non istituita dopo l’entrata in vigore della Costituzione. Sebbene, quindi, la Corte Costituzionale abbia solo un ruolo informativo nell’attivazione dell’art. 80, la sua posizione diventa cruciale nel possibile ritorno alla “normalità”, avendo il potere di sospendere le misure previste dal Presidente.
E ORA?
La situazione è in rapida evoluzione. Sicuramente, a differenza di quanto alcuni hanno già affermato, sull’onda del click facile e del sensazionalismo, la Tunisia non è l’Egitto e la possibilità di un colpo di Stato militare è relativamente lontana. Tuttavia, in molti, nel Paese e all’estero, temono che alla scadenza di questi primi 30 giorni, il Presidente Saïed possa ritardare ancora il ritorno alla vita democratica. A quel punto, sarà possibile definire quanto accaduto la scorsa domenica in Tunisia un vero e proprio colpo di Stato. Di certo, l’attacco da parte della polizia su diretto ordine di Kaïs Saïed agli uffici di Al Jazeera a Tunisi non fa ben sperare.
A dieci anni dalla “Rivoluzione dei Gelsomini”, quando Mohamed Bouazizi si diede fuoco davanti al municipio di Sidi Bouzid per protestare contro la corruzione e le condizioni economiche in cui verteva il Paese e quando la Tunisia si liberò finalmente dalla dittatura di Ben Ali, siamo di fronte a un bivio: una transizione democratica o nuovi anni di regime.
Che l’estate tunisina abbia seccato i gelsomini?
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Angela Venditti

Nata a Foggia nel 1999, nutre un profondo interesse per le relazioni internazionali, la cooperazione allo sviluppo e la geopolitica. Ha conseguito la laurea triennale in Scienze Politiche nell’estate 2020, ed è attualmente studentessa del corso di laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso la LUISS Guido Carli. Complice la partecipazione al progetto Erasmus all’Institut d’Études Politiques SciencesPo Paris, ha potuto approfondire tematiche legate al continente africano, diventato fonte di interessanti spunti e ricerche. È amante della letteratura francese e delle lingue, ed è grande appassionata di F1. View more articles.
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