La mancanza di contatti sociali, di continuità e certezza, data dalle periodiche aperture e chiusure delle scuole, e la non trascurabile difficoltà per gli studenti di seguire le lezioni online: queste le cause che nell’ultimo periodo hanno condotto ad un aumento progressivo del tasso di dispersione scolastica sul territorio nazionale. D’altra parte, non lo si può definire neppure un problema del tutto nuovo. Già all’inizio del 2019, infatti, si era registrato che la percentuale di giovani che aveva abbandonato la scuola, nella fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni, corrispondeva al 13,5%.
È sicuramente indubbio che la dispersione scolastica rappresenti un fenomeno che l’Italia cerca di contrastare da tempo. Basti in questa sede rimandare al parametro di riferimento previsto dall’Unione Europea per il 2020 e di gran lunga superato dall’Italia: il 10%. Non c’è da stupirsi, quindi, se, come ha rilevato uno studio ISTAT del 2019, “l’Italia è ancora agli ultimi posti in Europa per numero di laureati, tasso di abbandono e competenze”.
Cos’è la dispersione scolastica?
La dispersione scolastica rappresenta una questione molto complessa. Potremmo definirla come quel complesso di fenomeni aventi ad oggetto la mancata o irregolare fruizione dei servizi dell’istruzione. Questa, quindi, non fa solo ed esclusivamente riferimento al dato dell’abbandono – per quanto preoccupante sia – ma racchiude in sé l’ampio assenteismo, la frequenza passiva, le ripetenze, le difficoltà di apprendimento etc. Delinea un sistema – quello dell’istruzione – che, da un lato, necessita di un intervento tempestivo, e che, dall’altro, rispecchia da anni le difficoltà della società italiana al raggiungimento della parità delle opportunità.
La dispersione scolastica si presta, infatti, ad essere un indicatore fedele rispetto alle disparità presenti nel nostro territorio. Ne è un esempio la grande differenza dei dati tra il Mezzogiorno ed il Nord Italia. Secondo un’inchiesta condotta dalla Comunità di Sant’Egidio, “il rischio di dispersione è 3 volte più alto nelle regioni del Centro-Sud rispetto al Nord della penisola”. Più precisamente in Sicilia ed in Campania si registra un tasso di abbandono tra il 4% ed il 5%, in Sardegna, invece, anche maggiore del 5%.
Ancora, il fenomeno si differenzia tra alunni stranieri e nativi. Nel 2020, si è registrato che l’Italia ha la più alta percentuale di ragazzi di cittadinanza straniera che abbandonano gli studi (36.5%). A ben vedere, anche questo non è un fenomeno nuovo, se si tiene conto del fatto che il tasso non è mai sceso al di sotto del 30% negli ultimi 10 anni.
Parlare in percentuale forse non è funzionale a far capire la gravità del problema. Comprendere però le radici dello stesso può sicuramente sensibilizzare una comunità che, ad oggi, appare indifferente in materia. I dati – che piaccia o no – delineano una forte disuguaglianza sociale. Appare evidente come le difficoltà di apprendimento e l’allontanamento progressivo dalle classi siano molto più frequenti tra ragazzi aventi un background familiare svantaggiato, che vivono in località degradate (per lo più periferie urbane), o che, semplicemente per le disparità culturali, nutrono una forte incertezza riguardo le prospettive occupazionali in futuro. Senza contare le differenze di genere: i maschi sono più colpiti dal fenomeno rispetto alle femmine.
La situazione dopo la diffusione del Coronavirus
L’evasione dalle scuole, quindi, c’è sempre stata. Con la diffusione del Covid-19, si sono evidenziate ancor di più le cause e gli effetti, soprattutto nei confronti degli alunni delle scuole secondarie di primo e secondo grado. Infatti, che la pandemia abbia e continui ad avere effetti preoccupanti su tutti, grandi o piccoli, è un dato di fatto. I bambini e gli alunni a cui si fa riferimento, però, sembrano essere i soggetti più esposti, specialmente considerando l’impatto che la dispersione scolastica potrà avere sul loro futuro. La Comunità di Sant’Egidio ha certificato che, alla ripartenza scolastica del secondo anno in pandemia (settembre 2020), il 4% dei bambini non è ritornato a scuola. Per capirci meglio, 160.000 alunni su 4 milioni, affiancando a ciò l’alto numero delle assenze accumulate (20%).
Il mutamento delle modalità di erogazione dell’istruzione ha costituito la prima soluzione per affrontare il virus. La DAD (Didattica A Distanza) ha rappresentato, da un lato, un grosso ostacolo ai fini dell’apprendimento, dall’altro, addirittura ai fini della frequenza.
Vediamo il primo profilo. Seppur vista come unica modalità possibile, la DAD ha aumentato in modo esponenziale il margine di distrazione per gli alunni. Si pensi, prima di tutto, all’ambiente in cui questa viene attuata: nella maggior parte dei casi si tratta di abitazioni. Per alcuni potrebbe non essere stimolante, ed, anzi, potrebbe rappresentare motivo di ozio. Si pensi, ancora, alla mancanza di contatto diretto da parte degli insegnanti. Non si vuole qui discutere l’impossibilità di insegnare, quanto la difficoltà nell’apprendere attraverso un sistema che non consente, tra le altre cose, un controllo diretto. Ovviamente più l’età degli alunni è minore, più tale problema si acuisce. Per quanto attiene, invece, al secondo profilo, i casi di mancata frequenza e di abbandono sono strettamente connessi alla mancanza di strumenti idonei per la didattica a distanza. La pandemia, quindi, ha esasperato ancor di più il dato delle disuguaglianze: si viene a creare, così, una grande divergenza tra le famiglie che sono riuscite a far fronte all’interruzione della scuola in presenza, adeguandosi agli strumenti telematici, e famiglie che invece, dotate di scarsi mezzi economici, hanno fallito.
Il Dottor Stefano Orlando, facente parte dell’inchiesta portata avanti dalla Comunità di Sant’Egidio, in un’intervista con Orizzontescuola.it, ha affermato: “ [..] in Italia già prima della pandemia avevamo un tasso di abbandono scolastico del 13%, anche se il trend era in discesa negli ultimi anni grazie al lavoro che si era svolto. Quello che però ci preoccupa è che la pandemia rischia di invertire questa tendenza e che ci sia poca attenzione a questo tema che necessita di rispondere e di azioni concrete […]”. Il dato più preoccupante rimane quello dell’indifferenza ad un problema che è insito nelle radici culturali del Paese. Problema che c’è sempre stato, certo, ma che oggi rischia di sacrificare un’intera futura classe di lavoratori, padri, madri che, per cause a loro esterne, sono condannati ad avere minori opportunità. La battaglia contro i motivi socio-economici e la ormai perpetuata disuguaglianza sociale, alla base di tale fenomeno, devono rientrare nell’interesse di tutti.
Non esiste, in una società moderna come la nostra, la differenza tra affare proprio e affare di altri, soprattutto nei riguardi di un tema concreto come quello della dispersione scolastica, che rischia di diffondere nel nostro sistema un alto tasso di povertà ed esclusione sociale.
(Featured Image Credits: Istock)
Enrica Cucunato

Nata nel 1999 a Cosenza, appassionata di cronaca giudiziaria, giornalismo d’inchiesta e politica estera. Attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Giurisprudenza presso l’Alma Mater Studiorum a Bologna. Durante la sua formazione universitaria ha avuto l’opportunità di seguire corsi presso la Gazzetta di Bologna. Nel 2015 ha viaggiato negli Stati Uniti, dove ha potuto approfondire, presso la New York University, quelle che sono due delle sue passioni più grandi: la danza e l’inglese. Appassionata di libri riguardanti lo studio delle criminalità organizzate e le più grandi inchieste giudiziarie, i suoi interessi riguardano anche la lettera e il cinema. View more articles.
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