Il Giorno In Cui I Repubblicani Sono Diventati Ostili Alle Multinazionali

Il moderno Partito Repubblicano, come è noto, vede tra le sue figure di maggior spicco Ronald Reagan. Il quarantesimo Presidente degli Stati Uniti, infatti, ha dato vita a una rivoluzione politica e ha sancito una svolta in senso conservatore del Paese e del framing applicato a molte tematiche (oltre ad aver posto fine al tentativo politico, caratterizzato da una combinazione di progressismo e religiosità, di Jimmy Carter): Reagan, infatti, è stato un baluardo della deregulation, del trionfo del libero mercato, dello Stato minimo, dei tax cuts, dell’ostilità nei confronti del welfare state. Non a caso, nei decenni a seguire, il Partito Repubblicano è sempre stato identificato come il partito a favore delle aziende, delle multinazionali, degli imprenditori (anche se, ovviamente, il Partito Democratico non è certo una formazione politica ostile al libero mercato o alla libertà di impresa).

L’eredità di Reagan ha caratterizzato anche la Presidenza di Donald Trump; nonostante una campagna elettorale e una retorica basate su richiami populisti e di disdegno delle élite, uno dei provvedimenti più importanti approvati dai Repubblicani al Congresso è stato proprio un massiccio taglio delle tasse, del quale hanno certamente beneficiato miliardari e imprese. Eppure, i quattro anni di Trump alla Casa Bianca hanno visto anche l’inizio di un’incrinatura nei rapporti tra il Grand Old Party e il mondo delle Corporation. Un punto di svolta può essere identificato nelle vicende dell’estate 2020: in seguito alla morte di George Floyd e delle proteste in tutto il Paese, sempre più aziende hanno preso nettamente le parti dei manifestanti, sostenendo apertamente le posizioni del movimento #BlackLivesMatter. Questa scelta di campo è stato anche un chiaro segnale ai Repubblicani; alcuni di loro – soprattutto potenziali candidati per il 2024 che cerano di cavalcare l’onda trumpiana e presentarsi come populisti – hanno attaccato apertamente le aziende, usando spesso il termine “woke corporations”. Tra di loro, spiccano soprattutto figure come i senatori Ted Cruz (Texas) e Josh Hawley (Missouri).

Le vicende successive alle elezioni del Novembre 2020 hanno contribuito ad un’ulteriore escalation. La decisione di Trump – e di gran parte del partito (con rare eccezioni, sia a livello statale che federale) – di non riconoscere il risultato elettorale e l’assalto al Campidoglio hanno portato molte Corporations a sospendere le donazioni politiche ai candidati che sono stati ritenuti corresponsaibli di quello che è considerato come un attacco senza precedenti alla democrazia statunitense. In generale, le aziende hanno sospeso le donazioni ai candidati che non hanno votato la certificazione del risultato elettorale (138 rappresentanti alla Camera e 7 senatori) e/o che hanno esplicitamente negato la legittimità delle elezioni (oltre al sopracitato Hawley, anche figure come il rappresentante Paul Gosar). Quattro mesi dopo, alcune aziende hanno ricominciato a contribuire ad alcuni di questi congressisti con delle donazioni ma – come fatto notare dal giornalista Judd Legum – la maggior parte delle Corporations non è tornata allo status quo precedente, e sta continuando a non avere rapporti con i sopracitati gruppi di esponenti politici.

I primi mesi della Presidenza Biden hanno visto un’ulteriore evoluzione della situazione, che potrebbe segnare una frattura definitiva tra mondo delle imprese e il Partito Repubblicano, soprattutto a livello statale. In molti Stati, rappresentanti repubblicani hanno introdotto e – come nel caso della Georgia, approvato – nuove leggi che vengono descritte come atte a garantire la legittimità del processo elettorale, ma che sono criticate perché restringerebbero l’accesso al voto, in particolar modo per quanto riguarda le minoranze. Le aziende, nelle ultime settimane, si sono schierate apertamente contro queste proposte. In Georgia, ad esempio, MLB ha deciso di spostare l’All Star Game 2021 di baseball, che si darebbe dovuto tenere ad Atlanta. Inoltre, Delta, Coca Cola e altre compagnie simbolo del Peach State hanno condannato le azioni della maggioranza repubblicana. Situazioni simili si stanno sviluppando anche in Texas e in altre località.

Per il momento non ci sono state azioni concrete, ma la reazione di diversi esponenti repubblicani è stata rilevante. La Camera dei Rappresentanti della Georgia, ad esempio, ha votato per rescindere un tax break concesso a Delta (il Senato non ha discusso questa misura, che per il momento non è stata approvata). Inoltre, i senatori Hawley (Missouri), Cruz (Texas) e Lee (Utah) hanno introdotto una proposta di legge per rimuovere l’immunità speciale dalle leggi antitrust di cui gode MLB, ossia la Major League di Baseball. Anche in questo caso, si tratta di una proposta che non ha possibilità di essere approvata ma che segnala, quantomeno, un cambio di posizione da parte di alcune fette del partito nei confronti di uno dei temi simbolo del moderno GOP. Per anni, sono stati proprio i repubblicani a spingere per il coinvolgimento delle multinazionali nell’arena politica. Nel 2012, solo 9 anni fa, il candidato repubblicano Mitt Romney disse durante un evento della sua campagna elettorale: “Corporations are people, my friends”.

Mitch McConnell, il leader della minoranza al Congresso, ha posto un avvertimento alle compagnie, dicendo loro di restare fuori dalle questioni politiche. Al tempo stesso, però, ha detto che staying out of politics non include lo stop alle donazioni agli esponenti politici, una pratica che lui supporta da sempre e continua a sostenere. Questa dichiarazione rappresenta tutte le contraddizioni del moderno Partito Repubblicano: populista e anti-establishment a parole, costantemente pro-business e a favore dei ceti alti nella pratica. Non è possibile sapere se al cambiamento retorico corrisponderà un vero cambiamento nella piattaforma politica. Quello che già sappiamo, però, è che le aziende continueranno a prendere posizioni su temi come quello dei voting rights, e queste posizioni saranno probabilmente sgradite ai repubblicani. Nella giornata di ieri, si è svolta una riunione Zoom tra decine di CEO, i quali hanno affermato la volontà di riconsiderare gli investimenti negli Stati che limitano l’accesso al voto. La posizione delle multinazionali negli ultimi anni è facilmente spiegabile dalla prospettiva della ricerca del profitto: i segmenti più importanti della potenziale clientela premiano le aziende che si espongono nettamente sui temi dei diritti civili, e dunque i CEO agiscono di conseguenza. Per di più, bisogna considerare anche la crescente pressione da parte degli impiegati, affinché le compagnie per le quali lavorano assumano determinate posizioni su tematiche di loro interesse.

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Stefano Pasquali

Nato a Tivoli nel 1998, è appassionato di relazioni internazionali, politica economica e Stati Uniti. Dopo una laurea triennale in scienze politiche, attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Global Management and Politics presso l’università LUISS Guido Carli di Roma. Ha svolto due tirocini presso l’Ambasciata del Regno Unito e quella degli Stati Uniti. È parte del team che cura la newsletter “Jefferson – Lettere sull’America”. Tifa Roma e vorrebbe saper scrivere come Aaron Sorkin. View more articles

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