Caso Eni-Shell Per L’Oro Nero Nigeriano: L’Inizio Della Fine?

In un dibattito pubblico monopolizzato dalla pandemia di Covid-19 e dalle sue implicazioni politiche, economiche e sociali, è purtroppo scivolato, tra le pieghe delle cifre dei contagi e delle sterili polemiche partitiche, un fatto di cronaca internazionale che avrebbe dovuto – più di quanto non sia sembrato – sollevare un polverone mediatico non indifferente.  

Il 17 marzo scorso la Corte d’Assise di Milano assolveva in primo grado l’italiana Eni e il colosso olandese del petrolio Shell, accusate di aver pagato “la tangente del secolo”. Al centro delle indagini la concessione alle due multinazionali del lotto petrolifero “Opl245”, situato nelle acque del Golfo di Guinea, a circa 150 km dal Delta del Niger. Partendo dal presupposto che “Opl245” sembrerebbe essere la più grande riserva petrolifera del continente africano (ammonterebbe a circa 9 miliardi di barili di greggio), e che la Nigeria è il maggior produttore di petrolio in Africa, appare chiaro che l’importanza strategica di tale lotto abbia fatto gola a molti: Eni e Shell in primis, che si sono aggiudicate la licenza di estrazione nel 2011.

In parallelo, sono da considerare gli interessi plutocratici degli alti vertici della società nigeriana, tra cui figurano magnati dell’industria petrolifera e governatori degli Stati ricchi di petrolio (in particolare, quelli che si affacciano sul delta del Niger). Gli scandali di corruzione interna e di pratiche al limite della legalità nel settore petrolifero attraversano l’opinione pubblica nigeriana da anni, specialmente da quando, nel 1977, la Nigerian National Oil Company e il Ministero per il Petrolio e le Risorse energetiche si sono fuse nella Nigeria National Petroleum Corporation (NNPC), associando sotto lo stesso tetto produttori e regolatori. Inoltre, e qui entrano in gioco le multinazionali (MNCs), il NNPC ha stretti contatti con le aziende private che intendono investire e collaborare con il governo nigeriano per ottenere concessioni e autorizzazioni. Il NNPC gestisce infatti per legge le joint ventures tra il governo federale di Abuja e le MNCs, e, in particolare, Eni e Shell.

Ora, le circostanze dietro l’acquisizione di “Opl245” da parte dei due colossi petroliferi sono eufemisticamente nebulose.  Eni e Shell ottengono il lotto nel 2011, in cambio di un pagamento di un miliardo e trecento milioni di dollari che, secondo la difesa, sarebbe stato versato su conti governativi ufficiali. Tuttavia, il caso si sviluppa attorno al presunto dirottamento di 1,092 miliardi di dollari nelle casse di politici, intermediari e alti vertici della società nigeriana, tra cui figurava l’ex Ministro del Petrolio (1995-1998) Dan Etete, socio della “Malabu Oil and Gas Company”, prima società a ricevere la concessione dell’“Opl245” nel 1998. Tra il 1998 e il 2011, il lotto passa di mano numerose volte, sulla base dei diversi interessi del Governo federale nigeriano – elezione dopo elezione – e dell’entrata in scena di Eni e Shell. Le controversie sembrano arrestarsi appunto nel 2011, quando le due multinazionali firmano l’accordo di concessione con il Governo nigeriano e a Malabu viene risarcito più di un miliardo di dollari per la revoca della licenza.

Secondo l’accusa, dietro questi pagamenti incrociati si sarebbe celato uno schema preciso, che avrebbe condotto il denaro nelle tasche di Dan Etete – nel frattempo condannato in Francia per riciclaggio di denaro – e di politici e dirigenti, sia nigeriani che italiani. L’affare avrebbe inoltre presentato delle irregolarità dal punto di vista legale, dati i tentativi del Governo di Abuja di “indigenizzare” sempre più l’industria petrolifera, assegnando licenze a società almeno per il 51% in mano a nigeriani (cosa che aveva “giustificato” l’assegnazione di “Opl245” a Malabu nel ’98). Appena un anno prima della concessione a Eni e Shell, nel 2010, era stato inoltre approvato il Nigerian Oil and Gas Industry Content Development Act che, appunto, puntava ad aumentare la partecipazione di società a maggioranza nigeriana nell’industria del petrolio e del gas naturale, in aperto contrasto con la concessione a multinazionali straniere. Nel 2018, l’inchiesta aveva, tra l’altro, portato alla condanna in primo grado di Gianluca di Nardo ed Emeka Obi, ritenuti intermediari nell’affare e puniti con ben quattro anni di carcere. L’assoluzione delle due multinazionali a cui di Nardo ed Obi erano affiliati ha comprensibilmente sollevato alcune critiche.

Il caso Eni-Shell apre tuttavia ad una più ampia riflessione riguardo lo sfruttamento delle risorse del continente africano. 

La narrativa preponderante è quella della cosiddetta “resource curse”, che porterebbe gli Stati ricchi di risorse naturali a dipendere economicamente dal loro sfruttamento, negligendo gli altri settori produttivi. Questo, nello sviluppo della teoria, avrebbe profonde implicazioni politiche, non solo legate alla mancanza di riforme macroeconomiche necessarie al sostegno dell’intero apparato produttivo di uno Stato, ma riguardanti soprattutto la cosiddetta “bad governance”. In breve, la presenza di cospicue risorse naturali incentiverebbe corruzione e illegalità a livello governativo. Il discorso può ampliarsi alla necessità per uno Stato – di solito un Paese “in via di sviluppo” ricco di risorse naturali – di diminuire il più possibile la partecipazione statale nelle industrie produttive e aprire al mercato libero, id est allo strapotere delle multinazionali.

È emblematico in questo senso l’esempio del Ghana. Ex colonia britannica affacciata sul Golfo di Guinea, considerato secondo gli indici di Freedom House “free” e primo produttore africano di oro, il Ghana sembrerebbe non entrare nei parametri della “resource curse”. Eppure, secondo un rapporto della Banca del Ghana del 2019, il Governo di Accra avrebbe ricevuto in quell’anno meno dell’ 1,7% dei rendimenti dell’export di oro (e la popolazione avrebbe ottenuto un ricavo ancora minore). Attualmente, è in corso la discussione circa la nazionalizzazione dell’industria e l’obbligo di pagamento di royalties per lo sfruttamento delle miniere. A conferma del nuovo atteggiamento ghanese nei confronti delle multinazionali il recente annuncio da parte del Presidente Akufo-Addo riguardo l’industria del cacao: “Ghana no longer wants to be dependent on the production and export of raw materials, including cocoa beans. We intend to process more and more of our cocoa in our country with the aim of producing more chocolate ourselves”. Al centro del dibattito, le esportazioni di cacao ghanese verso la Svizzera. 

Per tornare alla Nigeria, sembrerebbe che anche lì qualcosa stia per cambiare. È, infatti, in discussione al Parlamento di Abuja (la decisione dovrebbe essere resa nota a breve) il Petroleum Industry Bill, volto a riformare il NNPC e a creare nuovi meccanismi regolatori per l’industria del petrolio, ponendo l’accento su trasparenza e aumento delle royalties

La discussione sulle risorse africane, sebbene ancora marginale nel dibattito pubblico occidentale, che continua a proporre un’immagine dell’Africa come un continente povero, sottosviluppato e in attesa degli aiuti del “Global North”, diventerà presto un tema centrale. I recenti eventi in Mozambico, dove il contrasto tra la multinazionale Total e al-Shabaab per il controllo delle risorse di LNG nella provincia di Cabo Delgado hanno assunto connotati violenti e drammatici, dovrebbero far pensare. Come è da notare il fatto che Shell, la più grande multinazionale europea del petrolio, sia stata recentemente condannata dalla Corte d’Appello dell’Aia per danni ambientali (sempre nel Delta del Niger, guarda caso, ndr), nonché attualmente sotto processo in Olanda per il caso tangenti. 

Piccola chiosa, lo Stato italiano possiede più del 30% delle azioni di Eni. 

Angela Venditti

Nata a Foggia nel 1999, nutre un profondo interesse per le relazioni internazionali, la cooperazione allo sviluppo e la geopolitica. Ha conseguito la laurea triennale in Scienze Politiche nell’estate 2020, ed è attualmente studentessa del corso di laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso la LUISS Guido Carli. Complice la partecipazione al progetto Erasmus all’Institut d’Études Politiques SciencesPo Paris, ha potuto approfondire tematiche legate al continente africano, diventato fonte di interessanti spunti e ricerche. È amante della letteratura francese e delle lingue, ed è grande appassionata di F1. View more articles.

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Featured Image Credits: Alessia Pierdomenico | Bloomberg | Getty Images

One thought on “Caso Eni-Shell Per L’Oro Nero Nigeriano: L’Inizio Della Fine?

  1. Grazie per le notizie.
    Questi argomenti passano sempre sotto silenzio attraverso i media nazionali e “statali”. Gradirei maggiori informazioni sull’evolversi delle situazioni politico-economiche dei paesi sub-sahariani.
    Il delta del Niger, ad esempio, e’ diventato la nuova via di distribuzione del petrolio, con le conseguenze ambientali e i risvolti economici che si possono immaginare. Purtroppo siamo sempre piu’ dipendenti dalla risorsa petrolio e non riesco a immaginare cosa succedera’ fra qualche decennio quando questa risorsa finira’, definitivamente.

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