A Pechino temono per l’arteria tecnologica, occorre colpire gli USA ad ogni costo. La corsa contro il tempo e la reazione americana. Chi controlla la tecnologia, comanda il mondo.
La partita geopolitica tra Cina e Stati Uniti presenta molteplici articolazioni e si gioca sui teatri più disparati. Fino a qualche anno fa queste affermazioni sarebbero risultate improbabili se non addirittura ridicole per molti commentatori della politica internazionale. Sarebbe impossibile in un articolo soltanto elencare la complessità di questa partita geopolitica, perciò sarà nostro compito provare a fornire un quadro generale su un argomento più specifico e sul quale molto è stato scritto. In particolare, tratteremo l’argomento dello scontro sulla tecnologica tra Cina ed USA. In particolare, vedremo quali sono le ragioni che hanno spinto Washington ad erigere barriere alle imprese cinesi e proveremo a capire come la tecnologia sia ormai diventata a tutti gli effetti materia sulla quale si sviluppa lo scontro di potenza. Nella prima parte parleremo delle politiche di acquisizione strategica portate avanti da Pechino, e in un secondo momento saranno analizzate le recenti azioni intraprese dagli statunitensi in materia di cybersecurity e chineseban.
Iniziamo col fotografare l’aspirante egemone, nonché promotore di una nuova globalizzazione revanscista guidata da un capitalismo monopolistico di Stato, la Cina. La RPC sconta, come ogni altro Paese emergente, un consistente ritardo nello sviluppo tecnologico, che la pone alle dipendenze dei trasferimenti dei Paesi tecnologicamente più avanzati come gli Stati Uniti. Le aziende statunitensi hanno localizzato le fasi della catena del valore con minor valore aggiunto e a basso contenuto tecnologico nei Paesi dove il costo del lavoro è più basso. Infatti, per i settori dell’industria ad alta tecnologia, la Cina si colloca nelle ultime fasi della supply chain, perdendo così la possibilità di generare o trattenere valore, che si convertirebbe in maggiore ricchezza collettiva. L’industria in Cina importa beni intermedi per attuare principalmente processi di assemblaggio e questo non giova alla produttività marginale del lavoro che tende a decrescere strutturalmente, perciò si è resa necessaria l’implementazione di una strategia di rinnovamento del capitalismo di stato cinese controllato dal PCC. In particolare, il quattordicesimo piano quinquennale approvato dall’Assemblea Nazionale del Popolo prevede lo stanziamento di risorse ingenti per finanziare acquisizioni strategiche, investimenti in infrastrutture, ricerca e start up ad alto contenuto tecnologico. In questa sede ci concentreremo sulle tattiche finora implementate dai cinesi per ottenere i brevetti tecnologici statunitensi negli ultimi anni, per capire il senso delle ultime manovre rispettivamente di Washington e Pechino in tema di tecnologia.
In tal proposito, il Commitee of Foreign Investiments in the United States (CFIUS) ha attuato un monitoraggio degli investimenti cinesi sul territorio statunitense, individuando pratiche di acquisizioni strategiche volte a trasferire proprietà intellettuale e know how verso le aziende cinesi. Tra le varie iniziative sono state rilevate anche alcune pratiche ritenute sleali all’interno della cornice legale del WTO. Gli americani hanno rilevato che la Cina utilizza FDI (Foreign Direct Investments), joint-ventures (JV) forzate e finanziamenti tramite venture capital (VC). Inoltre, molti operatori economici statunitensi sono stati costretti dalla legge cinese a trasferire i loro brevetti e segreti industriali ad appositi organi governativi al fine di ricevere l’autorizzazione a procedere con le attività nella Repubblica Popolare. A queste accuse, si aggiungono anche prove, che, sempre secondo il CFIUS, proverebbero la sussistenza di attacchi cyber volti a minare la completezza e la segretezza di informazioni industriali sensibili, specialmente nei settori considerati critici dal Dipartimento della Difesa statunitense. Per quanto concerne i FDI, le agenzie del governo cinese a livello nazionale e locale hanno garantito finanziamenti a bassi tassi di interesse o addirittura a fondo perduto alla aziende cinesi che investissero in operazioni di acquisizione o fusione (M&A) nei settori sensibili come IA, biotecnologie, infrastrutture e telecomunicazione, 5G e big data. Gli aiuti di Stato sono stati calcolati per un ammontare di 107 miliardi di dollari, e tra il 2013 e il 2016 sono state sottoposte a tentativo di acquisizione da parte di aziende cinesi 27 aziende produttrici di semiconduttori e 51 start up legate all’IA. Sul fronte del VC, si registra un forte attivismo cinese nel localizzare gli investimenti in start up specialmente nella Silicon Valley. Secondo il Rhodium Group, incaricato dal governo USA di monitorare queste operazioni, il 78% della totalità delle operazioni di VC avviate da fondi cinesi è stato condotto in 1200 progetti in realtà statunitensi, con un esborso di capitale ad alto valore speculativo di 3,3 miliardi di dollari soltanto nel 2018.
È evidente che, al netto di quanto detto finora, e della rinnovata postura cinese nello scenario geopolitico mondiale, la superpotenza statunitense doveva contrastare la strategia cinese al fine di proteggere il vantaggio competitivo delle proprie realtà industriali. Inoltre, la Cina ha mostrato in più occasioni di attuare politiche revisioniste nel campo dell’egemonia economica internazionale per arrivare a definire i nuovi standard tecnologici tramite l’inondazione di tecnologia strategica cinese a costo ridotto rispetto a quella occidentale. Questa strategia potrebbe permettere a Pechino di ridefinire le catene del valore a livello globale e a convertire la forza economica in strumento di coercizione politico. In risposta al potere economico cinese, gli Stati Uniti hanno fatto affidamento su una varietà di politiche i cui obiettivi possono essere separati in due gruppi: il primo punta a ridurre la dipendenza del Paese dalla tecnologia cinese in aree che aumentano i rischi per la sicurezza nazionale, mentre il secondo ha come fine pratico la protezione delle tecnologie critiche dal trasferimento dagli Stati Uniti alla Cina. Un uso bilanciato e coordinato di queste due parallele tattiche potrebbe rendere meno costoso un decoupling ristretto al settore delle tecnologie strategiche.
Un modo per ridurre la dipendenza dalla tecnologia cinese è stato quello di vietare l’uso di attrezzature e servizi cinesi. Ad esempio, tramite il National Defense Authorization Act (NDAA) del 2018 il Governo degli Stati Uniti ha dichiarato che avrebbe escluso cinque società cinesi, tra cui Huawei e ZTE, dai suoi piani di approvvigionamento di telecomunicazioni 5G. Il Governo ha anche vietato alle società di telecomunicazioni statunitensi di utilizzare il fondo per il servizio universale (commesse federali) per acquistare apparecchiature da forniture Huawei e ZTE. Ciò ha comportato un divieto di fatto sull’uso di apparecchiature Huawei e ZTE per i sistemi di telecomunicazione negli Stati Uniti. Altri esempi di restrizioni sulla tecnologia cinese includono i tentativi dell’amministrazione Trump di vietare le applicazioni mobili cinesi come TikTok e WeChat.
La seconda politica più efficace è stata quella di controllare le esportazioni. Il Dipartimento dell’Industria e della Sicurezza (DIS) del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha già aggiunto Huawei alla sua Entity List, che limita l’esportazione di tecnologia statunitense alle società segnalate. Poiché questi controlli non influenzano solo le società statunitensi, ma le società straniere che utilizzano la tecnologia statunitense, la portata di queste misure è ampia e ad alto impatto. Sulla produzione di semiconduttori, in particolare, dove c’è una forte dipendenza da software e apparecchiature fabbricati negli Stati Uniti, l’impatto di queste misure è già stato rilevato. Un notevole esempio di controlli sulle esportazioni utilizzati contro la Cina è l’annuncio del settembre 2020, secondo cui le società statunitensi devono cercare una licenza per fare affari con SMIC, il più grande produttore di semiconduttori in Cina.
La connessione tra le due economie è materia ampiamente dibattuta e continua a scomodare esperti di varie discipline. In particolare, in tempo di pandemia è emersa ulteriormente la necessità di ridurre la dipendenza tecnologia — e non solo — da un singolo attore. Inoltre, gli eventi politici degli ultimi anni hanno mostrato un’aggressività crescente di Pechino ed è emersa la volontà di potenza del gigante asiatico. Per quanto riguarda la tecnologia, l’applicazione delle conoscenze tecnologiche nella produzione e la competizione sono destinate ad aumentare nei prossimi anni, con effetti mondiali che sicuramente non mancheranno di suscitare in noi ulteriori studi, riflessioni e stimolante curiosità.
(Featured Image Credits: Illustration: Craig Stephens. Credits: South China Morning Post)
Matteo Urbinati

Nato nell’estate del 1998 a Bologna, fin da piccolo ha nutrito un profondo interesse per tematiche politiche ed economiche. Dopo essersi diplomato al Liceo Scientifico A. Volta di Riccione, ha conseguito una laurea triennale in Scienze Politiche presso l’Università Luiss Guido Carli di Roma. Durante questo periodo ha avuto la possibilità di prendere parte ad un progetto Erasmus in Estonia e a lavorare come analista nell’ambito geopolitico e affari militari. Attualmente, frequenta il corso di laurea magistrale in Global Management and Politics della Luiss Guido Carli. I suoi interessi sono da sempre la filosofia teoretica, la storia europea e l’economia. View more articles.
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