L’emergenza globale causata dal Covid-19, seppur con effetti eterogenei di Paese in Paese, ha indubbiamente cagionato notevoli danni, acuendo faglie politiche ed economiche preesistenti allo scoppio della pandemia. Immediatamente, le principali potenze si sono attivate per trovare un rimedio, cercando una terapia e un vaccino per immunizzare le rispettive popolazioni e consentire ai governi di allentare le misure draconiane istituite per contenere i contagi ed evitare il collasso dei rispettivi sistemi sanitari, nonché degli ingenti danni agli stock di capitale e agli impianti produttivi. Non si è fatta attendere la Federazione Russa che ha trovato nell’attuale situazione pandemica un vettore per estendere la sua influenza geopolitica.
Indipendentemente dalle narrative provenienti dalla comunità internazionale, il vaccino non può essere considerato come un common good appannaggio di tutta l’umanità; non si può infatti pensare che le differenze geografiche, politiche ed economiche possano essere sospese per ragioni solidaristiche. Questa prospettiva implicherebbe una mancanza di diaframmi tra la ricerca, lo sviluppo, la produzione e la distribuzione del vaccino.
Anche Mosca ha portato avanti per diversi mesi questa narrazione per avanzare i propri interessi strategici. Tuttavia, soltanto alcuni Paesi possono disporre di capacità adeguate per affrontare, dal punto di vista della ricerca scientifica, gli oneri che lo sviluppo di un vaccino comporta. Perciò, i produttori troveranno il modo di capitalizzare questo loro vantaggio competitivo per consolidare situazioni asimmetriche, di fatto salvaguardando i propri interessi. Così come altri, la Russia ha deciso di sviluppare il proprio vaccino, ancora una volta non per ritorno economico (comunque non sgradito di principio), ma piuttosto per sottolineare il proprio ruolo in quanto potenza internazionale.
In questo articolo analizzeremo brevemente i fattori centrali che rendono questo vaccino importante dal punto di vista politico.
Il fiore all’occhiello della Federazione è, come ormai notificato da diversi mesi dal Presidente in persona, il vaccino Sputnik V. Il farmaco è stato sviluppato nei laboratori del Centro Nazionale di ricerca epidemiologica e microbiologia N. F. Gamaleja, e, fin da subito, è apparso chiaro che la direzione del centro di ricerca ricadesse nel perimetro di controllo dei servizi di sicurezza del paese, in modo tale da garantire l’efficienza delle operazioni, in ossequio a un assetto risalente al periodo sovietico. Dal 5 dicembre 2020 a Mosca e dal 10 dicembre in altre regioni della Russia è iniziata la vaccinazione gratuita per i gruppi a rischio di età compresa tra i 18 e i 60 anni. È importante notare come, per affari di sicurezza nazionale, si operi attraverso la complementarità tra attori militari, centri di ricerca ed organizzazioni private. Perciò, appare intuitivo che il vaccino possa espletare ulteriori funzioni oltre a quella sanitaria generalmente attribuitogli.
Infatti, il vaccino Sputnik V permette al Cremlino di ottenere molteplici vantaggi e conseguire obiettivi strategici. Sul piano interno si cerca non solo di provvedere alla salute pubblica evitando il collasso del già precario sistema sanitario, ma anche di tutelare il Paese da eventuali ripercussioni sul piano internazionale che possano interdire la fruizione di un potenziale vaccino straniero alla popolazione russa. La produzione vaccinale domestica, oltre a garantire l’internalizzazione delle catene di approvvigionamento, permette anche di rafforzare la narrativa governativa e consolidare il consenso domestico.
Sul piano della politica estera il vaccino riveste un’importanza fondamentale, in quanto l’export di quello che è ormai da considerare un bene strategico, richiesto da molti Paesi che puntano a ristabilire una situazione meno tesa all’interno dei confini nazionali, può garantire l’espansione delle aree di influenza internazionale. Oltre a tradizionale esportatore di idrocarburi e armamenti, la Federazione Russa mira dunque a vendere il proprio vaccino e utilizzarlo per aumentare il suo soft power. Si pensi che più di 30 paesi hanno richiesto dosi del nuovo Sputnik V e alcuni di questi si sono persino offerti per le sperimentazioni della Fase 3 del vaccino. Questo comportamento da parte degli alleati di Mosca può essere compreso alla luce del fatto che molti di questi Paesi, se non la quasi totalità, non potrebbe mai beneficiare dei vaccini prodotti in Occidente, o almeno non in tempo utile per evitare ancora più vittime e danni economici.
In molti Paesi, il vaccino verrà sperimentato gratuitamente o venduto al prezzo economicamente vantaggioso di 20$, ovvero i costi di produzione e di trasporto. In questo modo, si estende il numero di analisi effettuate su pazienti di diversi Paesi ed entrati in contatto con un ceppo diverso da quello russo, al fine di aggiornare i dati di ricerca per la produzione futura. Per gestire la produzione e il trasporto di miliardi di dosi sarà, inoltre, necessario rafforzare le interazioni logistiche ed economiche tra Federazione e riceventi, il tutto siglato da accordi ad hoc. In particolare, si registra un forte coordinamento dei fondi sovrani russi con quelli dei Paesi alleati, in vista di investimenti in apposite infrastrutture che – indubbiamente – porranno le basi per future partnership che andranno oltre l’emergenza sanitaria. In questo modo si riuscirebbero a superare i limiti strutturali della Federazione che, a causa di un tessuto industriale non sufficientemente sviluppato e una vasta popolazione, non è non in grado da sola di produrre in massa dei vaccini.
Ma quali sono le aree del mondo verso cui la Russia, attraverso la distribuzione del suo vaccino, sta pianificando di estendere la sua influenza strategica?
Partendo dall’Asia, sia Corea del Sud che India produrranno il vaccino russo, con Nuova Dehli che somministrerà lo Sputnik V alla sua popolazione e intesserà rapporti logistici con paesi centroasiatici come Kazakistan, Uzbekistan e Tajikistan. In Medio Oriente e Nord Africa, Israele ha già iniziato a somministrare il vaccino di Mosca e lo stesso farà anche l’Egitto, che comprerà anche dei vaccini cinesi per far fronte alla vaccinazione della sua numerosa popolazione. Hanno fatto richiesta per il vaccino anche altri Paesi mediorientali, tra cui Arabia Saudita e Qatar. In America Latina, storici alleati di Mosca si sono offerti come volontari per testare la nuova risorsa e permettere così l’avvio di test congiunti in vista di immunizzazioni di più ampia scala. Cile, Argentina e Venezuela useranno il vaccino russo, comprato a prezzo di produzione, per incentivare gli ordini ed approfondire i legami economici e le sinergie logistiche con Mosca. Inoltre, in Africa Centrale, il Cremlino potrebbe donare delle dosi a scopo di rafforzare le importanti relazioni già fortemente consolidate in passato, rilanciando così la sua immagine di partner affidabile e vantaggioso.
Infine veniamo all’Europa: i primi che, in maniera inaspettata, hanno aperto a Mosca sono stati gli inglesi di AstraZeneca, che ha sviluppato il suo noto vaccino in sinergia con i laboratori affiliati all’università di Oxford. In un comunicato ufficiale hanno annunciato di voler iniziare test ibridi con somministrazione di entrambi i vaccini, nella convinzione che vaccini fatti da produttori diversi e su ceppi del virus eterogenei potrebbero generare un ritorno positivo in termini clinici, nonché vantaggi in termini di accessibilità a tutti i cittadini.
Infine, ha suscitato non poco sconcerto la notizia di un consulto telefonico tra Angela Merkel e Vladimir Putin, quando la leader tedesca ha esternato la sua disponibilità a considerare il vaccino Sputnik V come candidato appetibile. Sebbene sia stata assicurata l’attesa di una pronuncia da parte dell’EMA, la Germania si è detta disponibile ad impiegare i suoi impianti domestici di produzione e stoccaggio per il vaccino del Cremlino. La scelta di Angela Merkel potrebbe definire un cambio di rotta della politica vaccinale finora applicata nei confronti della Federazione Russa dai paesi occidentali. Fino adesso, non pochi osservatori hanno esternato perplessità sull’effettiva attendibilità della ricerca russa che riporta tassi di efficacia del vaccino pari al 91.4 %. Infatti, secondo alcuni esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità le fasi di sviluppo e di verifica su pazienti non hanno seguito un tempistica generalmente utilizzata per accertare la reale portata della ricerca.
Indubbiamente, oltre alla necessità di fronteggiare l’emergenza sanitaria, la leader tedesca ha voluto allo stesso tempo mandare un messaggio alla nuova amministrazione statunitense. Il messaggio è chiaro: Berlino continuerà, come ha già fatto nel settore energetico con il “North Stream 2”, ad approfondire i suoi rapporti con Mosca in conformità al proprio interesse nazionale e senza aspettare il permesso di Washington.
(Featured Image Credits: Alexei Druzhinin/TASS via Getty Images)
About the Author
Matteo Urbinati
Nato nell’estate del 1998 a Bologna, fin da piccolo ha nutrito un profondo interesse per tematiche politiche ed economiche. Dopo essersi diplomato al Liceo Scientifico A. Volta di Riccione, ha conseguito una laurea triennale in Scienze Politiche presso l’Università Luiss Guido Carli di Roma. Durante questo periodo ha avuto la possibilità di prendere parte ad un progetto Erasmus in Estonia e a lavorare come analista nell’ambito geopolitico e affari militari. Attualmente, frequenta il corso di laurea magistrale in Global Management and Politics della Luiss Guido Carli. I suoi interessi sono da sempre la filosofia teoretica, la storia europea e l’economia. View more articles.
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