Il 22 settembre è una data che porta con sé almeno due certezze e tanti interrogativi. Alla bellezza di due giornate dense di democrazia e alla schiacciante affermazione del SÌ al referendum costituzionale (con poco stupore tra i sostenitori dell’una e dell’altra ragione), si aggiunge infatti una semplice e non banale domanda che aleggia tra elettori, costituzionalisti, giornalisti, maggioranza e minoranza: “E ora che succede?”
Quali conseguenze ci saranno sul piano degli equilibri politici, da dove inizierà la stagione delle riforme promessa e chi sono i vincitori e i vinti di questa competizione elettorale, sono le tematiche al momento più diffuse in tutta Italia.
Vincitori e vinti
Quello che si nota a primo impatto dai risultati è la schiacciante vittoria della linea politica dei 5 stelle sul referendum: il punto cardine della loro agenda politica, dopo anni di lotta alla casta, diventa realtà. Non hanno tardato, infatti, a rivendicare una vittoria che, guardando un po’ indietro nel tempo, è tutta loro: in Parlamento, approvata dalla destra e ostacolata dalla sinistra per tre volte; poi parte della sinistra (in particolare il PD, nonostante la forte divisione interna) decide di sposarla e, dunque, di rivendicarla attraverso le parole del segretario Nicola Zingaretti. Questo è stato quello che si può definire un “teatrino” della politica sul quesito referendario (che ha fatto presagire motivazioni più di tipo politico che di merito) e che incorona senza molti dubbi Di Maio e Casaleggio. Questo primo impatto, tuttavia, si va smontando quasi immediatamente nell’incrocio con le elezioni regionali e amministrative: il M5S è fuori da tutto, tranne che in un ballottaggio a Matera. Irrilevante quando corre da solo, fallisce nell’alleanza col PD che, però, risulta il primo partito quasi dappertutto e porta a casa con la propria coalizione tre regioni su sei. E sì, perché questa partita finisce in pareggio. E allora, si può effettivamente parlare di vincitori e vinti? Una domanda di non facile risposta e che, come spesso accade in Italia, porta ad affermare che nessuno abbia perso. Eppure, la rovinosa débâcle dei cinque stelle, a livello regionale, mostra tutt’altro: si può anche vincere un referendum, ma non si può nascondere un declino che ormai appare inarrestabile. È doveroso notare, inoltre, che le elezioni regionali danno una grande boccata di ossigeno a Nicola Zingaretti che, nonostante abbia perso le Marche e abbia ottenuto una vittoria alquanto risicata in Toscana, ha sicuramente rafforzato la sua leadership nel partito e ciò, unito alla deludente performance dei 5 stelle, può irrobustire il ruolo dei democratici nell’esecutivo, dando anche maggiore stabilità al governo stesso.
Di conseguenza, Giuseppe Conte, ancora una volta, può stare tranquillo.
La stagione delle riforme
Il vero dubbio, la vera paura tra chi ha sostenuto il NO (annunciando un salto nel buio, che a questo punto potrebbe verificarsi) e anche tra chi ha votato SÌ (non per essere “anticasta” ma vedendo nella riforma “un primo passo”) è “ma adesso che si fa?”.
Il secondo passo sarà la famosa legge elettorale o si cercherà di superare il bicameralismo paritario? Le intenzioni sembrano far propendere per la prima ipotesi, che comunque non è un nodo semplice da sciogliere in un Paese fortemente diviso tra chi vuole proporzionali puri o corretti, e chi vuole il maggioritario e sapere subito chi vince e governa per 5 anni. Di certo è un punto su cui si può giocare la credibilità della maggioranza e che ha spinto anche su questo le ragioni del SÌ al referendum: una grande responsabilità per portare a casa la legge che renda più forte e autorevoli le Camere, come hanno raccontato in questi mesi. E il punto cruciale non è tanto la guerra ideologica tra i sistemi elettorali ma cosa si vuole fare per quanto riguarda le coalizioni, se ci si allea prima o dopo il voto, se ci si vuole prendere la responsabilità davanti agli elettori o cercare di formare, come al solito, maggioranze “solide” e “stabili” in Parlamento, che nella sostanza non lo sono per niente. Non saranno di certo 345 parlamentari in meno a togliere l’imbarazzo dalle giornate di impasse istituzionale in cui si tenta di costruire accordi per dare una maggioranza al Paese.
A questo si lega normalmente il tema delle preferenze perché sarebbe un vero peccato, dopo la richiesta così popolare di un miglioramento della qualità degli eletti, se i futuri deputati e senatori venissero ancora scelti tra i fedelissimi dei leader politici.
Insomma, c’è così tanta roba sul piatto del Governo che non può permettersi un assurdo – ma non del tutto escludibile – ritorno al passato.
(Image Credits: Blasting News)
About the Author
Francesco Palermo
Nato a Soveria Mannelli nel 2000, è appassionato di politica italiana ed è profondamente europeista. Attualmente frequenta il corso di laurea triennale in Economia presso l’Università della Calabria, dove è anche impegnato nella rappresentanza studentesca. È amante della musica e della letteratura. View more articles.
ma Di Maio è un genio della Politica con P maiuscola!
se non lo fosse non potrebbe tenere quella posizione con la cultura che ha
LikeLike