La Manifattura: Il Pilastro Dell’Economia Di Un Paese

L’eccellenza, l’alta specializzazione, la qualità e la creatività sono gli elementi che hanno caratterizzato la storia della manifattura italiana e l’hanno resa famosa e nota in tutto il mondo. L’Italia di Armani, Prada, Ferragamo e di Ferrero, Barilla e Campari, solo per citare alcuni dei più noti brand conosciuti a livello internazionale, è il Paese della “dolce vita”, nel quale la competenza e il buon gusto si uniscono nel noto made in Italy. Questa espressione, coniata a partire dagli anni ’80, indica la specializzazione del settore produttivo italiano e comprende le cosiddette 4 A: abbigliamento, arredamento, automazione e agroalimentare. Purtroppo, però, negli ultimi anni il settore industriale italiano ha registrato una crescita più lenta e, a seguito della crisi del 2009 e a quella attuale (causata dalla pandemia), ha assistito addirittura ad un’inversione di tendenza, performance non di certo rassicurante dal punto di vista economico. La manifattura, infatti, è il pilastro dell’economia di un Paese e, facendo un breve cenno a noti economisti, ne spiegheremo il motivo.

L’attività manifatturiera è un’attività che crea valore nel momento in cui nei prodotti non si riconoscono più le risorse naturali. Il più autorevole, quello che più di tutti ha sistematizzato questo ragionamento, è stato Adam Smith.  Secondo il celebre economista la manifattura diventa centrale, perché offre agli uomini la possibilità di creare qualcosa che non esiste, e si traduce in divisione del lavoro sempre più accentuata. Dal punto di vista economico in questo senso anche Nicholas Kaldor ha avuto un ruolo rilevante. Infatti, secondo quest’ultimo il successo di un Paese in un’economia moderna dipende dalla sua capacità manifatturiera. L’idea di Kaldor è cercare di capire per quale motivo un Paese è più ricco di un altro, e per far questo formula tre leggi. Attraverso un riscontro empirico evidenzia come tra tutte le attività quella che influenza più di tutte il reddito è la produzione manifatturiera.  Allora chi è più presente degli altri nella manifattura ha un reddito più elevato. In un’economia di mercato se non si è padroni di un linguaggio si produce come terzisti, ovvero solo per conto di terzi, e la produzione per conto di terzi porta delle conseguenze a livello di benessere macroeconomico per una società. Si può guadagnare tanto ma anche rischiare di uscire subito dal mercato. Ed oggi l’economia-mondo crea problemi di questo tipo. Risulta evidente che è molto più articolato la realtà con la quale ci dobbiamo confrontare oggi, soprattutto in seguito all’impatto che il Covid-19 e il lockdown hanno avuto sull’economia. In un mondo in cui ognuno di noi è in grado di fare quasi tutto, quello che serve per sopravvivere è la specializzazione e il perseguimento di una traiettoria culturale ben precisa.

Il ruolo della manifattura in Italia

L’Italia si trova di fronte a un contesto fortemente mutato. Siamo considerati oggi come il secondo paese manifatturiero d’Europa, anche se, in un mondo che ha visto raddoppiare la produzione, dal 1999 fino al 2019 abbiamo perso il 15.5% della produzione manifatturiera. Questo è un dato pre-Covid rilevante che sicuramente ha creato un blocco all’occupazione. Il tema della politica industriale è fondamentale ma non viene considerato appieno. Infatti, la manifattura rappresenta il core di un Paese nel momento in cui rientra nei consumi degli abitanti del Paese stesso. E da questo punto di vista è importante allora avere un reddito che consente di farlo. Quello che interessa a livello macroeconomico è l’occupazione generata da quell’attività imprenditoriale, e chi lavora in quella impresa è molto più legato di chi ne possiede il capitale finanziario perché ha generato una situazione che in termini economici viene definita di lock-in per la quale mantenere il posto di lavoro è fondamentale. Kaldor, in particolare, dice che la manifattura è centrale perché in un’economia di specializzazione – che diventa economia di mercato – definisce una traiettoria culturale. L’espressione Made in Italy rappresenta la traiettoria culturale di una comunità che è la nostra, ovvero di un’economia di mercato che vende ciò che rappresenta la sua cultura. Per cui in un’economia di mercato la cultura si traduce anche in bisogni e in beni e servizi che soddisfano quei bisogni. Ma se si parla di Made in Italy si deve guardare alla capacità di fare qualcosa che si consuma su quel territorio. D’altronde, quando si produce qualcosa che non si consuma si diventa terzisti, si produce conto terzi. Allora qui conoscenze e competenze assumono una fisionomia un po’ differente perché il problema è quello di sviluppare conoscenze e di mantenerle nel corso del tempo. In un’economia di specializzazione, la ricerca è fondamentale se si traduce in soluzioni applicate. Un Paese deve difendere la propria manifattura, ma questo vuol dire avere chiara la relazione che c’è tra ricerca, accumulazione di conoscenza e produzione di questa accumulazione di conoscenza in soluzioni concrete applicabili sui mercati. Se questo circuito non viene chiuso la ricerca va da altre parti. Nonostante tutto, l’Italia rimane tra i primi 10 Paesi al mondo in termini di produzione industriale, irrilevante però se confrontata con la super potenza cinese. D’altronde, è necessario dire che nessuno fino agli anni ’80 avrebbe mai pensato che la Cina potesse diventare l’area manifatturiera principale del mondo, ma oggi è così in tantissimi settori: dall’ industria di processo sino alle industrie più avanzate. Ad esempio, la metà della capacità produttiva nel settore dell’acciaio in sede di processo oggi è in Cina.

Fonte: elaborazioni CSC su dati UNCTAD, IHS e UN-comtrade

L’impatto della pandemia sulla manifattura 

Le decisioni adottate dai governi nazionali riguardanti le chiusure della maggior parte delle attività economiche hanno sicuramente colpito l’economia globale spingendola nella peggiore recessione dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Il sistema manifatturiero è entrato in lockdown avendo alle spalle già due anni di recessione e l’Italia, uno dei Paesi maggiormente colpito, ha visto una perdita del PIL pari al 8,8% nel 2020 e un aumento del debito pubblico rilevante. La crisi è stata definita da uno shock che ha riguardato tanto l’offerta quanto la domanda (crollo dei consumi, disoccupazione, riduzione dei redditi). Tra i settori manifatturieri, il comparto del tessile, abbigliamento e calzature è quello che ha subito il crollo più̀ grave (-23%), seguito dai macchinari e mezzi di trasporto (-15%).  L’Istat (Istituto Nazionale di Statistica) ha stilato un “Rapporto sulla competitività dei settori produttivi” molto interessante, dal quale emerge un’analisi del quadro macroeconomico e della performance dei settori manifatturieri dettagliata. Si riporta nel seguente articolo esclusivamente l’andamento a livello settoriale relativo al fatturato manifatturiero, dal quale emerge una profonda flessione dei beni strumentali e di quelli intermedi.

Fonte: Elaborazioni su dati Istat, Indagine mensile sul fatturato delle imprese industriali

Relazione tra industria e innovazione: il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) italiano

Per affrontare la crisi economica innestata dalla pandemia, l’Unione Europea si è dotata di uno strumento temporaneo che contiene il più consistente pacchetto di stimolo mai finanziato in ambito comunitario: il Next Generation EU. Per ricevere i fondi europei, gli Stati hanno definito un Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che contiene pacchetti coerenti di progetti di investimento e di riforme. Il Piano in Italia si articola in sedici componenti, raggruppate in sei “missioni”. Rispetto all’analisi fatta sull’importanza della manifattura citeremo in questa sede la componente 2 della “missione” 1 che ha l’obiettivo di rafforzare la competitività del sistema produttivo migliorandone il tasso di digitalizzazione, innovazione tecnologica e internazionalizzazione attraverso una serie di interventi tra loro complementari. La cifra destinata a tal fine risulta pari a 23,89 miliardi. Si tratta di un’occasione unica per uscire più forti dalla pandemia, e l’unica possibilità per generare opportunità e posti di lavoro.

<<Nell’insieme dei programmi c’è il destino del Paese, la sua credibilità>> ha sottolineato Draghi alla Camera dei Deputati il 26 Aprile 2021 <<Nel Pnrr c’è la misura di quello che sarà il suo ruolo nella comunità internazionale, la sua credibilità e reputazione come Paese fondatore dell’Ue e come protagonista del mondo occidentale. È questione non solo di reddito e benessere, ma di valori civili e sentimenti che nessun numero e nessuna tabella potrà mai rappresentare>>.

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Ludovica De Rose

Nata a Cosenza nel 2001, frequenta il corso di laurea triennale in Economia e Management presso l’università LUISS di Roma. Appassionata di arte, cultura e tematiche inerenti l’economia, le piace viaggiare e conoscere posti nuovi. Nel 2017 ha preso parte al programma Intercultura in Irlanda, trascorrendo un mese estivo a Wexford. Tra gli altri interessi anche tennis, equitazione e lettura di libri di attualità . View more articles. 

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