Lo Sport Nel 2020: Tra Episodi Di Razzismo E #BlackLivesMatter

«Perché dici nero

È Pierre Webo, viceallenatore dell’Istanbul Başakşehir, a scandire e ripetere più volte queste parole. Lo scorso martedì 8 dicembre, nel corso della sfida con il PSG, in una gara valevole per il girone di Champions League, il tecnico ha avviato un dibattito acceso con un membro della squadra arbitrale dell’incontro, il quarto uomo Sebastian Coltescu, reo di aver pronunciato (già tradotto dal rumeno, ndr): «Ammoniscilo. Quello nero, non è possibile che continui a comportarsi così. Va’ a vedere chi è, quello nero laggiù». Queste affermazioni hanno scatenato le proteste di entrambe le panchine, affollatesi nei pressi del quarto uomo. Demba Ba, attaccante senegalese del Başakşehir, insiste con l’arbitro: «Perché lui – riferendosi a Coltescu – lo identifica – Webo – dal colore della sua pelle?».

Entrambe le squadre hanno poi lasciato il terreno di gioco per protesta, costringendo la UEFA a rimandare la partita, disputata poi la sera successiva. Inutili sono stati i tentativi di Coltescu di giustificare le proprie parole sulla base della scarsa capacità di esprimersi in inglese: tutti i membri della squadra arbitrale in campo (l’arbitro, i due guardalinee e il quarto uomo) erano di nazionalità rumena, quindi non è difficile immaginare – come poi è stato effettivamente riscontrato – che per ogni comunicazione abbiano usato la propria lingua madre. In seguito, è stato organizzata una riunione tra gli interessati, in cui Coltescu, scusandosi, ha ribadito la sua buona fede.

L’episodio non è di certo il primo a verificarsi sui campi da gioco e il calcio non è il solo sport investito dal fenomeno delle discriminazioni razziali. Ad esempio, dopo la fondazione della NBA (1946), la massima serie del basket professionistico d’oltreoceano, non fu immediato l’inserimento dei cestisti afroamericani nei roster delle franchigie, dato il contesto di segregazione razziale vigente negli USA nel secondo dopoguerra.

Spesso i grandi nomi dello sport hanno condannato le discriminazioni nei confronti della comunità afroamericana, arrivando in più occasioni a boicottare gare ufficiali in segno di protesta.

Il movimento #BLACKLIVESMATTER e la NBA

Credits: Joe Murphy/NBAE via Getty Images

Negli USA il 2020 è stato un anno concitato dal punto di vista dei diritti sociali. Dall’omicidio di George Floyd in poi è salito nuovamente alla ribalta il tema della violenza perpetrata dalle forze di polizia sulla popolazione, in particolare di etnia afroamericana. In risposta all’ escalation di violenze, in ogni Stato, dalla East alla West Coast, sono state organizzate manifestazioni di protesta e, seppur nella maggior parte dei casi ci si sia attestati su livelli pacifici, non sono mancate le occasioni di scontro tra protestanti e forze dell’ordine.
È cresciuto in questo contesto il movimento BlackLivesMatter, che dal 2013 si batte contro le discriminazioni razziali e denuncia il fenomeno della police brutality negli USA.
Secondo i dati dell’attivista Richard Lapchick, la NBA nel 2015 era composta per il 75% circa da giocatori afroamericani: la rilevanza statistica e la forte presenza mediatica dei protagonisti, che non di rado si sono esposti in prima persona sulla questione, ha fatto di questa società una grande portavoce degli ideali del movimento. Jaylen Brown, Malcom Brogdon, Udonis Haslem, Tobias Harris e molti altri sono scesi in prima linea, appoggiando le marce dei protestanti nelle varie città di riferimento, e dando così un importante segnale di coesione.

Dopo lo stop della competizione regolare a causa della pandemia, la NBA è ripartita adottando una soluzione particolare, ma a tratti rivoluzionaria; il parco divertimenti Disney World di Orlando, Florida, è stato infatti adibito ad enorme “bolla” in cui sono state ospitate le 22 squadre partecipanti al resto della stagione, 16 delle quali si sono successivamente contese il titolo durante i playoff.
In questo contesto generale di novità, una in particolare ha rubato l’occhio di tutto il mondo: la scelta dei cestisti di personalizzare le proprie casacche da gioco, sostituendo ai propri nomi frasi inneggianti alla giustizia sociale. Tali messaggi – di cui i più utilizzati sono stati Black Lives Matter, Equality e lo slogan I Can’t Breathe, omaggio al compianto Floyd – hanno cercato di dare risalto a questioni diverse, come l’educazione e la politica, che rappresentano la base per una nazione antirazzista.

Ai gesti simbolici si sono unite anche le azioni.
In seguito ai fatti di Kenosha, città del Wisconsin, dove l’afroamericano Jacob Blake è stato colpito alla schiena da diversi colpi di pistola sparati dalla polizia, i cestisti si sono impegnati ulteriormente a dare l’esempio. Tutto è partito dai Milwaukee Bucks, che in vista di una gara dei playoff contro gli Orlando Magic non sono scesi in campo. Da qui tre partite rinviate e l’ipotesi di cessare l’intera competizione.

«Chiediamo il cambiamento! Siamo stanchi!» twitta la stella LeBron James, portavoce della proposta di fermare la stagione per dare una risposta dura contro il razzismo. Nello stesso momento anche calcio, baseball e tennis si fermano. È la più grande protesta sportiva di questi anni e gli USA sono paralizzati. La competizione, dopo una parziale riorganizzazione, è proseguita fino alla fine, ma le manifestazioni di denuncia sociale da parte dei cestisti non sono cessate. La più classica è stata il kneeling (genuflessione, ndr): il gesto è ripreso da Colin Kaepernick, giocatore di football americano che nell’estate 2016 si inginocchiò per protesta durante l’inno nazionale. Quest’ultimo è stato allontanato dalla federazione, generando discussioni e polemiche in cui intervenne anche l’allora Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Il tycoon si è espresso anche riguardo la serrata della NBA, etichettandola come una nuova organizzazione politica, e successivamente appoggiando la Guardia Nazionale nel suo operato a Kenosha.

Il fenomeno del razzismo è alquanto riprovevole, in ogni luogo e contesto si verifichi. È, difatti, ancor più strano quando viene associato al mondo dello sport, da sempre veicolo di messaggi di uguaglianza e condivisione. Quella degli sportivi di alto livello è un’opera di sensibilizzazione da non trascurare perché molte volte in grado di portare alla luce prospettive nuove e spingere coloro che sono disinteressati a tali questioni ad una maggiore coscienza civile. Non interiorizzare il concetto dell’uguaglianza tra esseri umani in un’era di così grande espansione culturale è inconcepibile. Citando il comico satirico Giorgio Montanini: «Progresso, ma non evoluzione. Sai come si chiama? Estinzione».

(Featured Image Credits: Julien Mattia – Anadolu Agency)

About the Author


Camillo Cosenza


Nato a Cosenza nel 1999, è un grande appassionato di sport, economia e politica. Frequenta il Corso di Laurea triennale in Ingegneria Gestionale all’Università della Calabria. Ama anche la storia e la filosofia, passioni nate durante il periodo liceale. View more articles

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