Tra i sostenitori di Trump è in corso un tentativo di sovversione del risultato delle elezioni che lo hanno visto sconfitto e che potrebbe prendere piede il 6 gennaio 2021, quando il Congresso si riunirà per eleggere in via definitiva il nuovo Presidente. La strategia cui stanno pensando alcuni deputati repubblicani potrebbe minare alla stabilità interna del partito, già largamente compromessa dai rocamboleschi tentativi di Trump di contestare l’esito del voto, oppure dare un segnale diverso al Paese, dimostrando che la maggioranza dei repubblicani rispetta il funzionamento del sistema elettorale.
A pochi giorni dalla certificazione del risultato delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, continuano però le proteste dei repubblicani contro i presunti brogli elettorali che avrebbero compromesso la vittoria, a quanto dicono occultata, del soon to be ex-Presidente Donald Trump.
Nei giorni successivi alla sconfitta di Trump, solamente un piccolo gruppo di senatori repubblicani si era congratulato con il Presidente eletto Joe Biden, ma la maggior parte dei membri del partito ha fatto di tutto nell’ultimo mese e mezzo per evitare di far infuriare Trump e i suoi fedelissimi elettori, sostenendo le diatribe legali del tycoon. Il 14 dicembre, dopo che gli elettori del Collegio Elettorale, come da prassi, si sono riuniti per certificare il risultato delle elezioni di novembre, anche alcuni dei più convinti sostenitori di Trump hanno ceduto e riconosciuto la vittoria di Biden.
Molti di loro, nonostante il riconoscimento, hanno avuto premura di ricordare che Trump potrebbe ancora riuscire a ribaltare il risultato del voto, sia per vie legali (anche se concretamente la presa di posizione da parte della Corte Suprema sembra aver stroncato questa possibilità) che attraverso la presentazione di obiezioni al Congresso, che si riunirà per eleggere in via definitiva il nuovo Presidente il 6 gennaio.
Tuttavia, diversi repubblicani sono convinti che il caos post-elettorale sfavorirà la corsa al Senato in Georgia, elezione in cui si deciderà di fatto a chi spetterà il controllo dell’Assemblea e che si concluderà il 5 gennaio. Da considerazioni del di questo tipo e anche dalla volontà di andare oltre con il processo di transizione amministrativa, in un momento così delicato per il Paese, deriva l’esortazione al resto del partito ad andare avanti ed evitare di alimentare ulteriormente gli scontri.
Il definitivo riconoscimento dell’elezione di Biden da parte di Mitch McConnell, leader della maggioranza in Senato, sembra aver definitivamente (ma non una volta per tutte) messo la parola fine ai sogni ribaltatori di Trump. Dopo la riunione del Collegio elettorale, uno alla volta, molti dei più stretti alleati di McConnell, hanno iniziato a rompere i ranghi pur mantenendo un atteggiamento di diffidenza nei confronti del neoeletto.
Gli alleati di McConnell a suo tempo avevano promesso di onorare l’esito delle elezioni a gennaio, intenzionati a non attirarsi le ire di Trump a ridosso delle elezioni, per paura di danneggiare la credibilità del GOP (partito repubblicano) e dei repubblicani in corsa per il Senato in Georgia. Peraltro, una delle altre motivazioni che avrebbero spinto McConnell e i suoi a sostenere in un primo momento Trump, sarebbe stata la preoccupazione che quest’ultimo avrebbe potuto mettere a repentaglio una serie di priorità legislative di fine anno che necessitano della firma del Presidente, tra cui il pacchetto di misure che definiscono e implementano il piano per il lancio delle somministrazioni di massa dei vaccini anti-covid e le misure urgenti a contrasto della crisi generata dalla pandemia.
Una delle altre voci esterne al coro è quella di Paul Mitchell, senatore repubblicano del Michigan, che in una lettera inviata a Ronna McDaniel e Kevin McCarthy (rispettivamente la Presidente del Comitato Nazionale dei Repubblicani e il leader della minoranza repubblicana alla Camera dei rappresentanti) ha dichiarato di voler addirittura lasciare il partito, sconcertato dalle proteste contro l’esito del voto che hanno così ferocemente infiammato Trump e i suoi sostenitori. Il senatore, che si è detto assolutamente convinto del buon funzionamento del sistema elettorale statunitense, ha condannato i suoi colleghi, rei di aver paragonato gli Stati Uniti ad un Paese del terzo mondo e di aver appoggiato teorie complottiste senza alcun fondamento.
Nonostante le sopra menzionate prese di posizione, non tutti i sostenitori di Trump hanno riconosciuto a Biden la vittoria né si stanno allineando alla strategia avallata da McConnell. Basti pensare che il senatore dell’Iowa Charles Grassley, uno dei membri più longevi della Camera, alla domanda di un giornalista che chiedeva se fosse pronto a riconoscere l’elezione di Biden, ha prontamente risposto “Non devo, spetta alla Costituzione”.
Quando Camera dei rappresentanti e Senato si riuniranno il 6 gennaio in seduta congiunta per contare i voti, come richiesto dal dodicesimo emendamento della Costituzione, verranno lette le liste degli elettori dei cinquanta Stati e del Distretto di Columbia, inviate al Congresso nei giorni precedenti alla plenaria, e conteggiati i voti. Il vicepresidente degli Stati Uniti, in questo caso Mike Pence, presiede la seduta ed è incaricato di annunciare il nome del vincitore dopo la registrazione dei voti di tutti gli Stati.
In quell’occasione, in base alle norme dell’Electoral Count Act del 1887, è possibile presentare una o più obiezioni, in forma scritta e firmata da almeno un membro della Camera e necessariamente da un membro del Senato. Nel caso in cui venissero effettivamente presentate obiezioni al risultato delle elezioni nei vari Stati sia alla Camera dei rappresentanti che al Senato, ciascuna camera si ritirerà per discuterne in merito. Le camere o una sola delle due potrebbero considerare la possibilità di squalificare i voti di uno Stato ma si tratterebbe in primis di una decisione che non viene presa dal XIX secolo e – politicamente parlando – di una scelta anomala ed estremamente rischiosa per la storia politica statunitense. Ad ogni modo, il voto alla Camera e al Senato, per passare, richiederebbe come di consueto la maggioranza.
Un altro modo per sovvertire le sorti del voto è che Pence, in qualità di vicepresidente della seduta, si rifiuti di contare i voti e annunciare il risultato; può farlo ma si tratterebbe anche in questo caso di una scelta piuttosto controcorrente che non gioverebbe al vicepresidente stesso visto che starebbe pensando di correre per le elezioni del 2024.
Allo stato attuale nessun senatore pare aver pubblicamente ed esplicitamente sostenuto di voler appoggiare la strategia cui guardano i rappresentanti della Camera ma una manciata di fedelissimi di Trump, tra cui i senatori Ron Johnson del Wisconsin e Rand Paul del Kentucky, hanno segnalato che sarebbero disposti a farlo. Pochi giorni fa, anche il senatore dell’Alabama, Tommy Tuberville, rispondendo alle domande di alcuni giornalisti dopo un comizio tenutosi in Georgia a favore dei due candidati repubblicani, ha fatto intendere che vorrebbe contestare il risultato del voto anche al Congresso.
Dalla Camera dei rappresentanti, tra le diverse voci sollevatesi c’è quella di Mo Brooks, deputato GOP dell’Alabama, sostenuto da altri deputati repubblicani che si sarebbero detti pronti ad avanzare una o più obiezioni. Solo alcuni giorni fa, il 17 dicembre, un altro deputato repubblicano, il rappresentante dell’Ohio Jim Jordan, uno dei sostenitori più di spicco delle campagne legali di Trump, ha fatto sapere che sosterrà i suoi colleghi intenzionati ad avanzare obiezioni alla Camera. La leadership repubblicana al Senato, che come si è detto è guidata da McConnell, ha invitato tutti i membri del GOP ad astenersi dal contestare il risultato elettorale, ritenendolo uno sforzo controproducente e a ben dire, considerato che se effettivamente le camere saranno costrette a due ore di discussione sulle obiezioni avanzate, ogni deputato repubblicano dovrà mettere nero su bianco la propria decisione.
In un momento cruciale per la storia della politica statunitense, con Trump che ha provato in tutti i modi a sfidare e a sminuire le norme alla base della democrazia americana, la volontaria acquiescenza del suo partito potrebbe fare la differenza se decidesse di sostenere l’iniziativa di Mo Brooks e degli altri deputati. Una strategia del genere porrebbe di fatto tutti i repubblicani di fronte ad una scelta: sostenere la strategia dell’obiezione o confrontarsi con l’ira del leader del GOP e degli elettori più fedeli alla sua linea.
Secondo esperti e docenti di diritto costituzionale e membri stessi del partito repubblicano, come appunto McConnell, uno sforzo del genere, infatti, non porterebbe a nulla di concreto. Sarebbe infatti realisticamente difficile per i repubblicani ottenere la maggioranza alla Camera dei rappresentanti, che attualmente è a guida democratica e rimarrebbe comunque la necessità di trovare un senatore disposto realmente ad assumersi la responsabilità del sostegno all’obiezione avanzata dai suoi colleghi della Camera dei rappresentanti.
Comunque andrà, è certo che l’atteggiamento di molti repubblicani mostrerà in quale direzione sta virando il GOP nell’era post-Trump, con molti membri del partito ancora estremamente fedeli all’attuale coinquilino della Casa Bianca, già pronto ad affrontare le prossime elezioni, e i dissidenti, o presunti tali, che potrebbero riporre la propria fiducia su qualcun altro, magari proprio Pence. Se anche questa volta Trump riuscisse a sfruttare la seduta congressuale a suo vantaggio, mettendo in discussione il normale proseguimento del processo elettorale, riuscirebbe di nuovo a insinuare nei suoi sostenitori il dubbio della legittimità del nuovo Presidente, minando i principi di base del federalismo statunitense e la sovranità stessa degli elettori.
In Foto: Kevin McCarthy, leader della minoranza repubblicana alla Camera
Credits: Andrew Caballero-Reynolds / AFP / Getty
About the Author:
Valeria Torta
Classe 1998, Valeria Torta è studentessa del corso di laurea magistrale in Governo, Amministrazione e Politica presso la Luiss Guido Carli. Da aprile 2019 è membro di L’asSociata, associazione giovanile che ha come obiettivo quello di mettere a contatto tutte le realtà associative giovanili per discutere e identificare soluzioni utili per le problematiche di Roma. Nel ruolo di responsabile dell’area sostenibilità ambientale, ha coordinato il progetto Mens Sana, un’iniziativa volta a sensibilizzare gli studenti universitari al tema della sostenibilità alimentare. A luglio 2019 svolge un tirocinio presso Fondazione Ecosistemi, dove ha modo di approfondire quali sono le soluzioni e le strategie adottate nell’ambito del Green Public Procurement (GPP). A ottobre 2019 co-fonda NeoS, acronimo di NeoSustainability. A settembre ha preso parte al programma Erasmus presso la Maastricht University. View more articles.