Il Diritto A Lasciarsi Morire

Uno sguardo al diritto comparato tra Italia e Olanda

Sulle orme di coloro che hanno rivendicato il diritto di morire dignitosamente nel nostro Paese, affrontando un vuoto normativo che li ha costretti a ricorrere a battaglie legali estremamente lunghe, si è aperto il dibattito sul tema del diritto a lasciarsi morire. La libertà di scegliere come e quando morire è una tematica molto delicata per la sua connotazione etica e, inoltre, soltanto recentemente la dottrina italiana ha modificato la sua visione.

Partiamo però dando uno sguardo a una delle legislazioni più permissive in materia: il diritto olandese.

In Olanda l’eutanasia è diventata legale anche per i bambini tra 0 e 12 anni. Il 15 ottobre del 2020 il ministro della Salute olandese, Hugo de Jonge, membro di spicco del partito d’ispirazione cristiana CDA nel governo del liberale Rutte, ha dichiarato l’entrata in vigore della legge che estende anche ai “piccolissimi” la possibilità di ricorrere al suicidio assistito. Nella lettera inviata al Parlamento si afferma che l’estensione indicata da tale provvedimento è necessaria per evitare ai bambini di sopportare sofferenze immani, senza però alcuna garanzia per una speranza di sopravvivenza effettiva.

Dal 2002, l’eutanasia era concessa “solo” ai bambini malati terminali di età superiore ai 12 anni o sotto l’anno di età con il consenso dei genitori. De Jonge ha portato avanti uno studio, commissionato dal Ministero della Salute stesso, in cui si mostra come l’applicazione di tale legge sarebbe circoscritta a un numero estremamente basso di casi – il numero si aggirerebbe infatti tra i 5 e i 10 annui –. Tuttavia, tale estensione sarebbe giustificata dall’eccessivo dolore che i bambini sarebbero costretti a subire, purtroppo inutilmente. Ma quali bambini hanno diritto di morire? Sempre previo consenso dei genitori e dei medici, il diritto tutela i bambini che non hanno prospettiva di guarigione o cura idonea, affetti da patologie terminali e sottoposti a sofferenze intollerabili.

La questione ha scatenato accese polemiche all’interno della coalizione quadripartita del governo di Rutte provenienti, in particolare, da conservatori cristiani. È stata, prima di tutto, additata come una strategia per ottenere un largo consenso in vista delle elezioni politiche del 2021. Inoltre, tutti i requisiti per accedere al “diritto di morire” sarebbero estremamente soggetti a interpretazione discrezionale. Infatti, un grande supporto a tale decisione sarebbe stato apportato proprio dagli stessi medici: in questo modo non sarebbero più perseguibili giuridicamente i dottori accusati di aver accelerato la morte dei minorenni terminali, sospendendo le terapie o la nutrizione assistita.

Analizziamo ora qual è la situazione in Italia.

Il primo caso ad aprire il dibattito nel 2006 fu quello di Piergiorgio Welby, affetto da distrofia muscolare in forma progressiva. La questione Welby divenne nota per una lettera, scritta dall’attivista e inviata direttamente all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in cui Welby richiedeva di poter usufruire dell’eutanasia. Il Tribunale di Roma respinse la richiesta dei legali di Welby, dichiarando la pratica dell’eutanasia inammissibile a causa del vuoto legislativo in materia. Nonostante la risposta negativa, la sofferenza di Welby era tale da chiedere direttamente al suo medico Mario Riccio di staccare il respiratore, e così accadde. Riccio venne prima processato e poi assolto dall’accusa di omicidio.

L’anno scorso abbiamo assistito a una vera e propria rivoluzione nel diritto disciplinante la morte assistita, comunemente chiamata eutanasia. La Corte Costituzionale, infatti, ha dichiarato illegittimo l’art. 580 del Codice Penale che punisce chiunque aiuti una persona a morire. La Corte Costituzionale ha affermato che non è punibile «chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio» di un malato terminale tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, ma in grado di prendere decisioni consapevoli. L’art. 580 punisce infatti coloro che convincono al suicidio, ne rafforzano la volontà o ne agevolano l’esecuzione. Così facendo i giudici hanno posto dei limiti ben precisi per sottrarsi alla punibilità: devono essere infatti rispettate le norme sul “consenso informato” (spiegato di seguito) e, dopo aver sentito il parere del comitato etico territorialmente competente, si devono accertare le condizioni richieste e le modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale.

Forte è il rimando di tale sentenza al tema del testamento biologico, che venne approvato in Italia nel 2017, in particolare a proposito delle norme sul consenso informato. La norma sul testamento biologico sancisce la possibilità di scegliere in anticipo a quali trattamenti e cure sottoporsi nel caso in cui il paziente non sia più in grado di decidere o comunicare autonomamente. Il termine “trattamenti” fa riferimento sia alla nutrizione assistita che all’idratazione artificiale. Il “consenso informato” è da considerarsi come il presupposto fondamentale per definire il testamento biologico, in quanto la persona ha diritto di sapere quali siano le conseguenze (positive o negative) derivanti dalla sottrazione di tali cure. Ma la legge sul testamento biologico non consente ad un paziente, gravemente malato e sofferente, di chiedere al proprio medico o ad altri soggetti di aiutarlo a suicidarsi senza far loro commettere un reato.

Nello stesso anno, infatti, esplose un altro acceso dibattito proprio su questa fattispecie, ossia il caso di Fabio Antoniani ( alias Dj Fabo). L’odissea di quest’ultimo, che si era fatto accompagnare fino in Svizzera da Marco Cappato per sottoporsi al suicidio assistito, ha sollecitato la Corte Costituzionale italiana. Dj Fabo, tetraplegico e cieco, si era somministrato l’iniezione letale mordendo un pulsante. Con la sentenza della Corte abbiamo ottenuto la libertà di scegliere di morire e l’aiuto a farlo non è più considerato un reato. La Consulta ha deliberato che le persone gravemente malate senza alcuna speranza di guarigione hanno diritto di farsi aiutare a togliersi la vita.

Ma possiamo effettivamente dire che è stata legalizzata l’eutanasia?

Il termine eutanasia viene spesso utilizzato in modo troppo omnicomprensivo. È eutanasia la somministrazione da parte del medico di una sostanza letale su richiesta del paziente. Si parla di suicidio assistito, invece, quando il medico aiuta un paziente a suicidarsi, lasciando però a lui la responsabilità dell’azione letale vera e propria. Con la recente sentenza legata al caso Dj Fabo è stato legalizzato, solo a certe condizioni, il suicidio assistito, ampliando la disciplina normativa che permetteva solo il testamento biologico dal 2018. Tuttavia, l’eutanasia resta illegale.

L’evoluzione della dottrina italiana si allinea a quella di altri 6 Stati dell’Unione Europea (Germania, Austria, Finlandia, Olanda, Belgio e Lussemburgo) in cui è legalmente permesso il suicidio assistito. Tre tra questi, Belgio, Lussemburgo e Olanda (come visto in precedenza) si sarebbero addirittura spinti oltre, permettendo anche la patica dell’eutanasia. Questi ultimi tre Paesi sarebbero stati anche i primi al mondo a legalizzare il suicidio assistito e introdurre l’eutanasia per i bambini affetti da patologie terminali, primo fra tutti il Belgio nel 2014.

Costanza Berti

Nata a Massa Marittima nel 1998, ha conseguito una laurea triennale in Scienze Politiche e ora frequenta il corso di laurea magistrale in Gestione d’Impresa presso l’università LUISS di Roma.  La sua vita si divide tra Roma e Follonica. Da sempre appassionata di viaggi, nel corso degli anni ha potuto scoprire e vivere culture molto diverse tra loro. Nel 2019 ha preso parte al progetto Erasmus a Rotterdam, trascorrendo un semestre di studio alla Erasmus University of Rotterdam. View more articles

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