Il calcio è per tante persone passione, dedizione, gioia e dolore. Per qualcuno è addirittura religione. Si è fuso perfettamente con il tessuto sociale e culturale mondiale diventando attraverso i decenni e mediante i suoi protagonisti molto più che un gioco.
Così come ogni sfaccettatura del quotidiano anche il calcio ha risentito della pandemia di coronavirus sia in termini economici che organizzativi. La scorsa stagione calcistica è difatti stata mutata per tempistiche e svolgimento, portando alla sospensione anticipata della totalità dei campionati principali (in alcuni casi, come quello francese, alla chiusura, con assegnazione del vincitore in base alla classifica fino ad allora accumulata) e allo svuotamento dei templi del gioco.
Come si sono organizzate le società sportive di Serie A?
Il Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora – di concerto con il Consiglio dei Ministri ed il CTS – ha stilato dei protocolli accurati, che prendono in esame varie situazioni e mostrano le linee guida per il comportamento degli addetti ai lavori. Questi ultimi sono sottoposti ad una serie di screening periodici con l’intento di bloccare sul nascere ogni forma di contagio, sia all’interno della stessa società che durante gli incontri sul campo di gioco. Esempi noti sono quelli della Juventus, della Roma e del Napoli, i cui giocatori e membri dello staff sono stati sottoposti ad isolamento fiduciario, in strutture designate dalle società stesse, in seguito all’emergere di una o più positività all’interno del gruppo. Per la disputa delle gare invece è stata preferita una linea diversa, con le autorità competenti che valutano caso per caso ogni partita. Tuttavia, quest’ultima soluzione adottata risulterebbe in contrasto con ciò che indica la UEFA, ovvero un tetto limite di giocatori contagiati (13 per ogni società) superato il quale verrà rinviata la manifestazione.
Un’altra situazione da non sottovalutare è quella che ha luogo sugli spalti. I tifosi hanno più volte manifestato il proprio dissenso verso uno sport in cui non si riconoscono, di cui sono parte integrante fin dagli albori, ma da cui oggi si sentono esclusi. Sebbene alcune soluzioni siano state ricercate ed attuate dai governi nazionali al fine di riportare la gente negli stadi, con capienza notevolmente ridotta, ad oggi ci si trova punto e a capo.
Con il DPCM del 24 ottobre 2020 il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha vietato l’accesso anche ai 1000 fortunati che potevano godersi lo spettacolo dal vivo delle partite di Serie A e Serie B. La decisione per altro è stata confermata dal successivo decreto come misura di livello generale, non valida per le aree a rischio epidemiologico maggiore, le cosiddette zone rosse ed arancioni. In quest’ultime, infatti, si legge nel testo del decreto che «sono altresì sospesi tutti gli eventi e le competizioni organizzati dagli enti di promozione sportiva». Ad oggi, risulta invariato il prosieguo delle serie maggiori, fino alla Lega Pro, ma sono state sospese le competizioni dilettantistiche, ad eccezione della serie D, che riprenderà il normale svolgimento dal 29 novembre in poi. Misure di prevenzione severe, ma con l’obiettivo unico e più importante di salvaguardare la salute degli italiani.
Un esempio economico
Calcio ed economia vanno di pari passo da ormai molti decenni. Ogni società ha la propria business idea, la propria campagna di marketing, le proprie iniziative sociali e così come ogni azienda di altro settore ha risentito dello stop alla propria attività.

L’esempio della Juventus è calzante. La vittoria per 3-0 nella gara di Champions contro l’Atletico Madrid del 13 marzo 2019 ha portato il titolo bianconero ad essere sospeso per eccesso al rialzo (chiusura del 17,42% rispetto al giorno precedente) recuperando la perdita dell’11% registrata il 21 febbraio dello stesso anno, seguito della sconfitta contro gli spagnoli nella gara di andata. In un periodo in cui il problema principale non è certamente il risultato, quanto la possibilità che la gara non venga affatto disputata, si intuisce che i titoli sono entrati in una forte depressione. Il prezzo di un’azione della Juventus ad inizio anno si attestava su un valore poco variabile di 1,27 euro ma, successivamente all’8 marzo 2020 (ovvero all’ultima partita disputata prima della sospensione dello scorso campionato) il prezzo è notevolmente sceso, fino a toccare un picco negativo (0,54 euro/azione) il 12 marzo dello stesso anno.
È un dato allarmante se consideriamo anche che nei mesi successivi e fino ad oggi solo in due occasioni la curva di prezzo ha toccato valori prossimi ad 1 euro. Anche il fatturato dei bianconeri è in decremento, registrando un -8% tra 2019/20 e 2018/19 (circa 51 milioni in meno) e le previsioni di Exor (holding olandese controllata dalla famiglia Agnelli) che tra i principali investimenti include anche la società della Continassa, sono tutt’altro che rosee.

Questa situazione dai tratti amari accomuna gran parte della scena mondiale. Tuttavia, ci sono delle eccezioni. Si pensi all’ultimo vincitore della Champions League: il Bayern Monaco. In questo caso i risultati sportivi hanno incrementato sia il fatturato che il valore del club tedesco, incoronandolo non solo sul campo ma anche come vero e proprio campione di bilancio. Caratteristica che assume tutto un altro sapore considerando le fase drammatica che il sistema calcio – e non solo – sta vivendo.
(Featured Image Credits: sport.sky.it @LaPresse)
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Camillo Cosenza
Nato a Cosenza nel 1999, è un grande appassionato di sport, economia e politica. Frequenta il Corso di Laurea triennale in Ingegneria Gestionale all’Università della Calabria. Ama anche la storia e la filosofia, passioni nate durante il periodo liceale. View more articles.