Accordi Israele-Golfo: Frattura Nel Mondo Arabo

Il 15 settembre scorso il primo ministro israeliano Netanyahu e i ministri degli Affari Esteri di Emirati Arabi Uniti e Bahrein hanno firmato a Washington D.C. gli “accordi di Abramo”, che sanciscono la normalizzazione delle relazioni fra Israele e i due Paesi del Golfo e, in cambio, la rinuncia israeliana al progetto di annessione della Cisgiordania. Promotore di questi accordi il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che li ha presentati come una svolta storica per la pace in Medio Oriente e un tassello importante del suo ambizioso progetto “Peace to Prosperity”, altrimenti noto come “Accordo del Secolo”.

Tuttavia, il quadro reale recentemente delineatosi in Medio Oriente sembra molto più complesso e teso rispetto al disegno della “pax americana”.

Il significato dell’accordo: gli interessi in gioco

Con gli accordi del 15 settembre, si è estesa la lista di Paesi arabi che conducono apertamente relazioni bilaterali con Israele: da ricordare, infatti, la pace con l’Egitto nel 1979 e con la Giordania nel 1994. Tuttavia, sarebbe inopportuno equiparare i primi due casi con quello più recente.

In effetti, Israele, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein non solo non erano Paesi “nemici” o in guerra prima della normalizzazione, ma sembra intrattenessero già relazioni economiche e di supporto reciproco da qualche tempo. I motivi di questa collaborazione “informale” erano numerosi, dagli interessi nazionali di natura economica e strategica fino ai timori riguardanti la crescente influenza iraniana e turca. Grazie all’accordo, Israele potrà infatti avere una sponda sul Golfo Persico e l’accesso a nuovi mercati, nonché la possibilità di impiegare i propri servizi di cyber sicurezza oltre i propri confini territoriali così da evitare il temuto isolamento a Sud-Est. Emirati Arabi e Bahrein, invece, avranno uno sbocco sul Mediterraneo e un supporto economico ma soprattutto nell’ambito della sicurezza.

La firma degli accordi alla Casa Bianca (Image Credits: Start Magazine)

A questo punto, però, dato che la normalizzazione è il traguardo di un dialogo già intrapreso da tempo, non bisognerebbe aspettarsi alcun cambiamento, né tantomeno una crescente instabilità nel Medio Oriente.

Eppure questa deduzione non è del tutto esatta: capiamo ora il perché.

La frattura nel mondo arabo: la reazione palestinese

Diversi analisti si sono domandati quale sia stata la vera natura della “clausola Cisgiordania” negli accordi di Abramo. Fatto sta che la rinuncia di Israele all’annessione della West Bank riaccende la speranza della “soluzione dei due Stati”, quindi la creazione di due diversi Stati sovrani e non l’assimilazione unilaterale dei territori da parte dello Stato ebraico.

Tuttavia, i palestinesi hanno comunque percepito il patto di normalizzazione come un tradimento da parte degli Stati del Golfo, evidentemente intenzionati a lasciar cadere la questione palestinese per favorire gli interessi nazionali. Di conseguenza, il 22 settembre l’Autorità nazionale palestinese (Anp) ha rinunciato al proprio turno di presidenza del Consiglio della Lega Araba: un segnale esplicito di protesta che sicuramente potrebbe far comodo a Iran e Turchia.

Emirati Arabi Uniti e Bahrein, invece, hanno presentato la rinuncia israeliana come un’occasione nuova e positiva per la risoluzione della questione palestinese, continuando – formalmente – a garantire il proprio sostegno all’Anp.

Sembrerebbe trattarsi ancora una volta di un gioco di percezioni, che però tradisce una volontà di avvicinamento degli Stati arabi ad Israele per vantaggi economici e strategici nel breve termine. È quindi da prevedere una convergenza pro-israeliana anche da altri Stati del Golfo? E considerando la risposta palestinese agli accordi di Abramo, con quali risvolti in Medio Oriente?

Un futuro incerto

La frattura nel mondo arabo potrebbe sicuramente allargarsi qualora la convergenza pro-israeliana venisse formalizzata da altri Paesi del Golfo. Ma quanto è plausibile questo scenario?  

In effetti, una potenziale normalizzazione con Israele appare più complessa per l’Arabia Saudita, l’attore più influente del Golfo, nonostante il suo legame con Emirati e Stati Uniti e il sentimento anti-iraniano condiviso con lo stesso Stato ebraico. Infatti, è da ricordare in primo luogo l’importanza religiosa dello Stato saudita, che ospita le città sacre dell’Islam, La Mecca e Medina. In più, sarebbero di ostacolo l’interesse a conservare il primato politico nel Golfo e il resistente sostegno dei principali membri della classe dirigente alla questione palestinese.

Anche per il Kuwait un avvicinamento con Israele è improbabile alla luce dello storico supporto offerto dal Paese alla Palestina, mentre il Qatar è ormai isolato nella regione per il legame con Ankara. Più incerta invece la posizione dell’Oman.

Insomma, gli accordi di Abramo cambiano le carte in tavola in Medio Oriente, potenziando il blocco pro-israeliano, ma creando una profonda divisione nel mondo arabo e servendo “su un piatto d’argento” la questione palestinese ai nemici Iran e Turchia. Giocheranno un ruolo centrale gli altri Stati del Golfo, che però al momento non esprimono una volontà forte di avvicinarsi a Tel Aviv.

Nonostante la normalizzazione, quindi, il futuro del Medio Oriente è sempre più incerto e instabile.

(Featured image credits: Il Post)

About the Author


Valeria Pia Soricelli


Nata a Benevento nel 1998, è appassionata di geopolitica e relazioni internazionali, con particolare interesse verso il Medio Oriente. Ha conseguito il diploma di maturità classica e la laurea triennale in Scienze Politiche. Attualmente è studentessa del corso magistrale in International Relations presso la LUISS Guido Carli e sta svolgendo il tirocinio nella sezione Relazioni Bilaterali dell’Ambasciata Britannica di Roma. Ha inoltre partecipato al programma Erasmus+ presso l’Institut d’études politiques Sciences Po Paris. Da includere tra le sue varie passioni anche la musica rock, il canto e il cinema francese. View more articles. 

 

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