Il nuovo adattamento cinematografico di Mulan, prodotto dalla Disney e diretto da Niki Caro, è arrivato il 4 settembre su Disney+ ed è stato accolto con grande entusiasmo da parte di adulti e bambini. Tutti conosciamo Mulan e magari molti di noi (come me ad esempio) sono cresciuti sulle note di “Per lei mi batterò”, colonna sonora dell’omonimo cartone animato uscito nelle sale cinematografiche nel 1998. Pochi però sanno che la trama è ispirata alla storia realmente accaduta tra il 581-618 d.C. della guerriera Fu Hao, moglie dell’Imperatore Wu Ding.
Tuttavia, nonostante l’entusiasmo che lo circonda, il film è particolarmente discusso e molte persone hanno addirittura indetto proteste per boicottarlo. Sui social media, infatti, è diventato virale l’hashtag #BoycottMulan e ciò ha acceso la curiosità di persone da tutto il mondo, che si sono chieste come mai un semplice film per bambini stia suscitando così tanto scandalo. Tali proteste sarebbero iniziate ad agosto 2019, quando la futura protagonista resa nota al pubblico, Liu Yifei, scrisse in un post sul social media cinese Weibo: “Sostengo la polizia di Hong Kong. Potete tutti attaccarmi ora”, commentando anche: “Che vergogna per Hong Kong”. In più sulla sua pagina ha citato più volte l’hashtag #IAlsoSupportTheHongKongPolice. Liu, così facendo, stava dando il suo appoggio alla forze armate di Hong Kong, accusate di violazione dei diritti umani in seguito alla spietata repressione di un gruppo di manifestanti pro-democrazia. La polizia si era scagliata violentemente contro i contestatori che protestavano per la presentazione di un emendamento, che avrebbe obbligato la regione amministrativa a consegnare alla Cina persone indagate da Pechino per determinati reati, mettendo di fatto fine all’autonomia della città asiatica. Ciò avrebbe comportato, inoltre, la violazione di diritti umani e l’uso improprio dell’estradizione per raggiungere i dissidenti politici rifugiati ad Hong Kong. Ovviamente il timore principale era che tale emendamento potesse esser utilizzato anche contro giornalisti e attivisti, che stavano solo esprimendo la propria opinione o che semplicemente stavano documentando la reale situazione cinese al mondo intero. A seguito delle infuocate proteste, il disegno di legge è stato prima sospeso e poi ritirato, ma gli scontri tra polizia e manifestanti non si sono mai fermati e anzi, sono diventati ancora più organizzati e violenti. Il fatto che stride maggiormente è che l’attrice che interpreta Mulan, eroina simbolo dell’emancipazione femminile e del coraggio per aver sradicato una società altamente patriarcale, sia la stessa sostenitrice di un governo che mina le libertà democratiche. Il giorno dell’uscita del film su Disney +, l’attivista Joshua Wong ha pubblicato un post su Twitter dichiarando: “Questo film è uscito oggi. Ma poiché la Disney si inchina a Pechino e poiché Liu Yifei sostiene apertamente e orgogliosamente la brutalità della polizia a Hong Kong, esorto tutti coloro che credono nei diritti umani a #BoycottMulan”.

Alla luce delle numerose lamentele sorte attorno al film, l’attrice sembra aver fatto un passo indietro. In molte interviste Liu descrive la situazione attuale di Hong Kong come estremamente critica e si mostra speranzosa affinché tutto si possa risolvere al meglio, senza tuttavia smentire il suo precedente appoggio alle forze dell’ordine. Forse ciò è solo il risultato di un atteggiamento impostole dalla Disney per evitare di perdere incassi in una delle nazioni più popolose al mondo, quale quella cinese?
Eppure, “il caso Mulan” non termina qui. Oltre alla spiacevole posizione politica presa dalla protagonista, si aggiunge anche un comportamento controverso da parte della Disney stessa. Nei titoli di coda del film, la Disney, infatti, ringrazia quattro dipartimenti di propaganda e un ufficio di pubblica sicurezza regionale dello Xinjiang. Sembrerebbe consuetudine ringraziare le entità governative che hanno permesso di girare il film in quell’area, ma non nel caso del territorio dello Xinjiang. Tale regione del nord-ovest della Cina è popolata da circa 10 milioni di musulmani uiguri, ossia una minoranza etnica di religione musulmana e di etnia turcofona, che rappresenta solo lo 0.6% della popolazione totale cinese. Nonostante rivestano solo una bassissima percentuale, il governo di Pechino ha indetto una vera e propria lotta al terrorismo contro gli uiguri: a partire dal 2001 le misure ristrettive nei loro confronti si sono intensificate e sono sfociate in procedure di riconoscimento facciale, intercettazioni telefoniche e controlli quotidiani da parte delle forze armate. Tuttavia, sono poche le testimonianze che il governo cinese ha lasciato “fuoriuscire” dalla regione e, solo dopo la pubblicazione da parte del New York Times di un dossier di 400 pagine di documenti riservati, siamo venuti a conoscenza della presenza di campi di prigionia all’interno della zona. A novembre 2019 infatti il New York Times ha divulgato questo documento dove si descriveva come in questi campi, definiti “di trasformazione attraverso l’educazione”, gli uiguri subivano violenze e torture di ogni genere come l’indottrinamento politico e il lavoro forzato. I campi sarebbero nati nel 2014 con l’obiettivo di cancellare gradualmente la minoranza e al momento ospiterebbero più di un milione di uiguri.
Nonostante tutto questo, andrete quindi a vedere Mulan?
(Featured Image Credits: Badiucao)
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Costanza Berti
Nata a Massa Marittima nel 1998, ha conseguito una laurea triennale in Scienze Politiche e ora frequenta il corso di laurea magistrale in Gestione d’Impresa presso l’università LUISS di Roma. La sua vita si divide tra Roma e Follonica. Da sempre appassionata di viaggi, nel corso degli anni ha potuto scoprire e vivere culture molto diverse tra loro. Nel 2019 ha preso parte al progetto Erasmus a Rotterdam, trascorrendo un semestre di studio alla Erasmus University of Rotterdam. View more articles.